Grazie alla storico 3° posto della scorsa stagione e all’incredibile qualificazione agli ottavi di Champions League con l’Atalanta, Gian Piero Gasperini ha vinto la Panchina d’Oro precedendo Siniša Mihajlović e Massimiliano Allegri.
“Da zero a Champions” è il titolo della miniserie in onda su DAZN che racconta l’impetuosa crescita vissuta dall’Atalanta in poco più di tre anni, da quando, cioè, siede sulla panchina bergamasca Gian Piero Gasperini.
La vittoria della Panchina d’Oro 2018/2019 è il giusto riconoscimento allo straordinario lavoro compiuto dall’allenatore piemontese, capace di innalzare lo status degli orobici, passati da provinciale perennemente in lotta per la permanenza in Serie A (le 11 retrocessioni li pongono al secondo posto, dietro al solo Brescia, in questa poco invidiabile classifica) a realtà ormai consolidata del calcio italiano, in grado di lottare per la quarta stagione consecutiva per un piazzamento europeo e di accedere agli ottavi di Champions League.
La Panchina d’Oro rappresenta il coronamento di una lunga carriera iniziata nel 1994 nelle giovanili della Juventus, club in cui ha esordito da calciatore professionista.
Giovanissimi, Allievi e Primavera: nei nove anni bianconeri, il tecnico di Grugliasco vince il Torneo di Viareggio nel 2003, ma, soprattutto, lancia molti giocatori successivamente protagonisti nella massima serie.
Nell’estate del 2003, Gasperini approda al Crotone, dove trova in rosa Ivan Jurić, che sarebbe diventato un suo fedelissimo sia come calciatore sia come collaboratore tecnico, per poi mettersi in proprio e divenire allenatore, ispirandosi a Gasp stesso, come dichiarato prima della recente sfida di campionato tra Atalanta e Verona: "È il mio maestro e, a mio avviso, il migliore allenatore in Italia, c'è tanto di lui in me”.
Nelle tre stagioni alla guida dei calabresi, Gasperini ottiene subito la promozione dalla C1 alla B e in seguito due convincenti salvezze, guadagnandosi, in tal modo, la chiamata del neopromosso e ambizioso Genoa.
Nella Serie B più competitiva di sempre per la presenza di tante squadre blasonate, tra cui spicca la Juve, declassata a causa di Calciopoli, il “Grifone” chiude al terzo posto, conquistando la promozione senza la necessità di dover disputare i play-off grazie ai dieci punti di vantaggio sul Piacenza, quarto classificato.
Aver riportato i rossoblù in massima serie dopo dodici anni dà a Gasperini la vittoria della Panchina d’Argento, premio assegnato al miglior allenatore della serie cadetta a partire dalla stagione 2006/2007.
Nelle successive tre annate, il tecnico contribuisce a consolidare la posizione del Genoa in Serie A, ottenendo un 10°, un 5° e un 9° posto. Nel 2008/2009 sfiora una clamorosa qualificazione al turno preliminare di Champions League, chiudendo a pari punti con la Fiorentina, ma con lo svantaggio degli scontri diretti e con il rimpianto della rimonta subita dai viola nel match di Marassi (da 3-0 a 3-3 con pareggio di Adrian Mutu al 93’).
Il 3-4-3 di Gasperini valorizza al massimo le capacità realizzative dei centravanti genoani: nel 2007/2008, Marco Borriello, fino ad allora mai andato oltre le 10 marcature stagionali (con il Treviso nella Serie C1 2001/2002), va a segno 19 volte, ottenendo la convocazione in Nazionale per Euro 2008 e la richiamata del Milan; nel 2008/2009, Diego Milito, ritornato all’ombra della Lanterna dopo tre anni (era andato via nell’estate del 2005 per via della retrocessione d’ufficio del “Grifone” in C1), realizza 24 gol, si laurea vice-capocannoniere del torneo e viene acquistato dall’Inter insieme al compagno di squadra Thiago Motta, con cui nel maggio 2010 avrebbe conquistato uno storico triplete.
Il connubio con il presidente Enrico Preziosi giunge al capolinea nel novembre 2010, quando viene esonerato dopo la sconfitta contro il Palermo e un inizio di campionato in sordina.
Nell’estate 2011, tuttavia, arriva l’improvvisa chiamata dell’Inter, rimasta senza allenatore a fine giugno in seguito alle dimissioni di Leonardo. Per Gasperini, pertanto, si spalancano finalmente le porte di una grande squadra.
“Ho passato molto tempo, prima di iniziare ad allenare, cercando di costruire qualcosa che fosse solo mio. Più che studiare, ho ricercato, copiato e modificato per costruire una mia metodologia, nella quale ci sono ancora tanti dubbi, ma anche certezze acquisite. Posso dire questo, ciò che conta davvero nel mestiere di allenatore è crearsi una propria metodologia”.
Gasperini parla così nel corso di quell’estate, ma l’impatto con il mondo nerazzurro si rivela traumatico. L’Inter, a poco più di un anno dal triplete, è infatti una squadra ormai logora negli uomini chiave e il presidente Massimo Moratti non accontenta le richieste avanzate dal tecnico in sede di mercato, cedendo anzi Samuel Eto’o e consegnandogli un organico inadatto a giocare con il suo modulo di riferimento, il 3-4-3.
Ciononostante, Gasp prova comunque a seguire la sua strada, ma il bilancio è fallimentare: un pareggio e quattro sconfitte tra campionato, Champions League e Supercoppa Italiana gli costano l’esonero a neanche tre mesi dall’insediamento, rendendolo l’unico allenatore nell’ultracentenaria storia interista a non aver ottenuto alcuna vittoria.
L’esperienza segna profondamente il tecnico, che più volte avrebbe parlato dei 90 giorni da incubo vissuti all’Inter, utilizzando termini duri e attirando su di sé l’ira del popolo nerazzurro, mai tenero nei suoi confronti ogni volta che è tornato a San Siro da avversario.
Gli effetti della nefasta avventura interista sembrano preludere alla parabola discendente di Gasperini, testimoniata dal doppio esonero subìto alla guida del Palermo nella stagione 2012/2013.
Nell’annata rosanero, Gasp ha modo di lavorare con Josip Iličić, da lui fortemente voluto nel 2017 all’Atalanta, dove ha contribuito a renderlo uno dei giocatori più decisivi del campionato italiano (è entrato nella top 11 della Serie A 2018/2019), dopo che per anni era stato accompagnato dall’etichetta del calciatore tecnicamente dotato, ma indolente e a tratti irritante.
Per ripartire, Gasperini ha bisogno dell’aria di casa e l’occasione di tornare al Genoa gli si presenta dopo sole sei giornate della stagione 2013/2014. Gasp prende la squadra in zona retrocessione e la conduce a una salvezza tranquilla, dando fiducia al giovane Mattia Perin in porta e facendo vivere una seconda giovinezza ad Alberto Gilardino, autore di 15 gol.
Il binomio tra Gasperini e il “Grifone” si dimostra particolarmente proficuo nel 2014/2015, con i rossoblù che finiscono in 6ª posizione, utile per una nuova qualificazione in Europa League, vanificata però dal mancato ottenimento della licenza UEFA. Oltre al danno, si aggiunge la beffa, dal momento che il posto del Genoa viene preso dai cugini della Sampdoria, giunti settimi in campionato.
Ancora una volta la mano di Gasp si nota nella valorizzazione e nel rilancio del parco giocatori a disposizione, che garantisce a Preziosi numerose plusvalenze, come avviene per Diego Laxalt, Andrea Bertolacci, Stefano Sturaro, Diego Perotti, Iago Falque, Suso e Leonardo Pavoletti.
Dopo un piazzamento a centro classifica e 297 panchine complessive, le strade di Gasperini e del “Grifone” si dividono nuovamente nell’estate del 2016, quando il tecnico si accorda con l’Atalanta.
L’inizio è burrascoso: gli orobici perdono quattro delle prime cinque giornate di campionato e Gasp, in seguito al KO casalingo con il Palermo, evita l’esonero solo per la vicinanza con l’impegno successivo, la gara sul neutro di Pescara contro il Crotone. La vittoria sui calabresi regala una boccata di ossigeno alla squadra, che da lì in poi non si fermerà più.
La svolta arriva il 2 ottobre con il successo contro l’imbattuto Napoli di Maurizio Sarri. La rete decisiva è realizzata da Andrea Petagna, lanciato titolare da Gasperini al posto del più quotato Alberto Paloschi e simbolo delle scelte coraggiose operate dall’allenatore, risoluto nel mettere in campo i migliori prospetti provenienti dal sempre florido vivaio bergamasco (Matteo Caldara, Andrea Conti, Roberto Gagliardini e Franck Kessié) e da altri club (Leonardo Spinazzola e Petagna stesso), seppur all’asciutto di esperienza in Serie A.
Potendo plasmare un gruppo formato da giovani vogliosi di affermarsi ed emergere, Gasperini mette in pratica la “metodologia” di cui aveva parlato quando era diventato allenatore dell’Inter: impostazione dal basso e baricentro alto, con conseguente necessità di avere difensori veloci per recuperare la posizione in caso di errore (ecco spiegate le difficoltà incontrate da Martin Škrtel e Simon Kjær nel corso dell’attuale stagione), pressing continuo per riconquistare il pallone nella metà campo avversaria, ricerca dell’ampiezza e uno sviluppo dell’azione d’attacco che porta un gran numero di giocatori negli ultimi 16 metri.
La dimostrazione sono i tanti gol segnati dai centrocampisti centrali e dagli esterni, da sempre fondamentali nella sua idea di calcio. Tra i tanti modi in cui l’Atalanta va a segno, non è un caso che uno dei più utilizzati sia la combinazione diretta, mediante cross lunghi, tra un esterno e l’altro.
In un sistema in cui il singolo è al servizio del collettivo, diviene fondamentale il ruolo di Alejandro Gomez, il quale, allargandosi sul lato sinistro del fronte offensivo, riesce, con i suoi dribbling, a creare superiorità numerica e ad allargare le maglie difensive delle squadre avversarie, sempre più chiuse quando si trovano ad affrontare gli uomini di Gasperini, a cui va il merito di aver rilanciato il “Papu”, al punto da fargli ottenere la convocazione nella Nazionale argentina alla soglia dei trent’anni.
La naturale conseguenza della perfetta applicazione dei princìpi di gioco è la progressiva crescita dei risultati della “Dea”: 4° posto con record di vittorie consecutive (6) in Serie A e ritorno in Europa dopo 26 anni; 7°, con ottime performance nelle coppe (sedicesimi di Europa League, con eliminazione immeritata contro il Borussia Dortmund, e semifinale di Coppa Italia); 3°, con prima storica qualificazione in Champions League, e finale di Coppa Italia, dove gli orobici mancavano dal 1996.
L’ottimo lavoro compiuto da Gasperini ha effetti positivi anche sulle casse nerazzurre, rimpinguate dalle plusvalenze registrate negli ultimi anni con le cessioni dei calciatori maggiormente messisi in evidenza: Caldara (appena rientrato a Bergamo in prestito dal Milan), Mancini, Conti, Gagliardini, Kessié, Cristante, Petagna, Barrow e il giovanissimo Kulusevski, che, dopo aver trascinato l’Atalanta Primavera alla vittoria dello scudetto di categoria nel 2019, è stato prestato al Parma, con cui si è rivelato una delle maggiori sorprese della prima parte del campionato, tanto da convincere la Juve a investire per lui 35 milioni (più 9 di bonus).
In aggiunta a tutto ciò, ci sono i numeri delle 22 giornate fin qui disputate in Serie A. Malgrado la prolungata assenza di Duván Zapata, acquisto più caro nella storia del club e autore di 28 reti nella scorsa stagione (a ulteriore attestazione della bravura di Gasperini nello sfruttare le qualità degli attaccanti), la "Dea" ha segnato ben 59 gol, alla spaventosa media di 2,68 a partita, adempiendo lo slogan preferito del tecnico: “Il momento più bello nella vita di un allenatore? Quando vedi fare in campo quello che si insegna in allenamento“.
Tanti addetti ai lavori hanno paragonato il calcio dell'Atalanta a quello del Liverpool di Jürgen Klopp, attualmente di gran lunga la miglior squadra del mondo, non solo in quanto detentrice della Champions League e del Mondiale per Club.
Un paragone niente affatto blasfemo, al di là del valore dei singoli interpreti, considerando che entrambi gli allenatori fanno del ritmo e dell’intensità, di cui è diretta espressione il pressing forsennato e al tempo stesso organizzato nella metà campo avversaria, i capisaldi del proprio credo calcistico.
Per attuare al meglio tale proposito, è necessario che i giocatori siano sempre al massimo della forma ed è questo il motivo per cui Gasperini, alla consegna della Panchina d’Oro, ha voluto ringraziare i membri del suo staff, poiché i nerazzurri, così come i Reds, sono tra le formazioni con il minor numero di infortuni in Europa.
Pep Guardiola, il principale competitor di Klopp in Inghilterra (il tedesco è l’unico allenatore a poter vantare un bilancio positivo nei confronti diretti con il catalano), alla vigilia del doppio confronto in Champions tra il suo Manchester City e l’Atalanta, ha voluto rendere omaggio alla “Dea” e a Gasperini con un’efficace metafora: “Giocare contro di loro è come andare dal dentista, si soffre sempre”.
Di fatto, le parole di Guardiola certificano che l’Atalanta sia ormai diventata una grande squadra. E il merito principale è di Gasperini, l’uomo ritenuto non adatto a guidare una big, ma abile nel crearne una partendo praticamente da “zero”.
Stefano Scarinzi
6 febbraio 2020