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Si può fare di più

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21 anni dopo l’ultima vittoria del Parma, l’Italia si affida a Inter e Roma per provare a interrompere il lungo digiuno di successi in Europa League.

Dominatrice incontrastata nel decennio 1989-1999, semplice comparsa negli ultimi venti anni: l’albo d’oro della Coppa UEFA/Europa League certifica in maniera impietosa il percorso discensionale dell’Italia nella seconda competizione continentale.

Otto successi in undici edizioni, quattro “derby” all’ultimo atto (1990, 1991, 1995 e 1998) e quattordici finaliste su ventidue posti disponibili. Numeri impressionanti, cancellati, però, dal nulla assoluto registrato nel successivo ventennio, in cui nessun club del Belpaese è riuscito a vincere la manifestazione o quantomeno ad arrivare in finale.

I migliori risultati dalla stagione 1999/2000 restano le semifinali raggiunte in otto occasioni da sette squadre diverse (due volte la Fiorentina, una Inter, Juventus, Lazio, Milan, Napoli e Parma). Decisamente troppo poco per una nazione che, malgrado non sia più il principale polo del panorama calcistico europeo, nel medesimo arco temporale può comunque annoverare tre trionfi in Champions League (il Milan nel 2003 e nel 2007 e l’Inter nel 2010), oltre a quattro finali perse (la Juve nel 2003, nel 2015 e nel 2017 e il Milan nel 2005).

I nerazzurri, insieme alla Roma, hanno il compito di interrompere l’astinenza in Europa League. Tanti i motivi per cui il club della famiglia Zhang è chiamato a onorare al meglio la competizione. Innanzitutto, un eventuale successo permetterebbe all’Inter, già tre volte vincitrice dell’ex Coppa UEFA (1991, 1994 e 1998), sia di diventare la squadra italiana con il maggior numero di affermazioni nella manifestazione (primato condiviso con la Juve) sia di dimenticare l’eliminazione dalla Champions, con le conseguenti ricadute economiche.

Inoltre, darebbe modo ad Antonio Conte di rimuovere l’amaro ricordo riguardante la sua unica esperienza in Europa League: nel 2014, infatti, la sua Juve fu estromessa in semifinale dal Benfica, perdendo la grande opportunità di giocare la finale nel proprio stadio.

Il primo ostacolo sulla strada che porta a Danzica, sede dell’ultimo atto, è rappresentato dal Ludogorec, fondato nel 2001 e campione di Bulgaria da otto anni consecutivi (i biancoverdi hanno vinto tutti i campionati di massima serie a cui hanno preso parte, avendo esordito in Prima Lega nel 2011/2012).

Allenato da gennaio dal ceco Pavel Vrba (a lungo allenatore del Viktoria Plzeň e CT della Repubblica Ceca a Euro 2016), sta dominando anche in quest’annata il torneo nazionale e conta due precedenti con formazioni italiane, entrambi in Europa League (nel 2014 eliminò a sorpresa la Lazio, mentre nel 2018 rimediò una doppia sconfitta contro il Milan), ma non può certo impensierire l’Inter, indubbiamente una delle favorite per la vittoria finale.

Probabile che Conte si affidi al turnover, soprattutto perché sono alle porte quattro giorni decisivi per il prosieguo della stagione nerazzurra: il 1° marzo è in programma all’Allianz Stadium di Torino il big match con la Juve, che potrebbe indirizzare le sorti della Serie A; il 5, invece, l’Inter è chiamata all’impresa al San Paolo di Napoli, dovendo ribaltare lo 0-1 rimediato a Milano nell’andata della semifinale di Coppa Italia.

Se i nerazzurri sono impegnati su tre fronti, per la Roma l’Europa League rischia di essere l’unico obiettivo da qui al termine della stagione.

Eliminati presto dalla Coppa Italia, i giallorossi sono precipitati a sei punti dall’Atalanta (quarta classificata) dopo il KO contro i bergamaschi nell’ultimo turno di campionato. Data la straordinaria condizione psicofisica della “Dea”, appare arduo immaginare una rimonta da parte degli uomini di Paulo Fonseca, reduci da un terribile inizio di 2020 non solo per i risultati sul campo (una vittoria, un pareggio e cinque sconfitte in Serie A), ma anche per il complicato passaggio di proprietà da James Pallotta a Dan Friedkin, che sta creando confusione nello staff tecnico e in quello dirigenziale, come testimonia il quasi certo addio anticipato del DS Gianluca Petrachi, arrivato nella Capitale solo pochi mesi fa.

A complicare il quadro contribuisce l’annata da sogno della Lazio, che ha 17 punti di vantaggio sui cugini ed è a una sola lunghezza dalla Juve capolista. Allargando il discorso dal 2009 a oggi, il paragone diventa impietoso: i biancocelesti hanno conquistato sei trofei, la Roma nessuno, con l’ultima gioia che risale al 2008, quando i giallorossi, allora allenati da Luciano Spalletti, vinsero la loro nona Coppa Italia.

Tenuto conto che l’affermazione in Europa League dà il pass per la prossima Champions, si capisce perché la manifestazione divenga essenziale per i capitolini, all’asciutto, tra l’altro, di successi in ambito internazionale (la Coppa delle Fiere, vinta nel 1961, non è riconosciuta dalla UEFA).

Per conseguire tale scopo, è necessario che la Roma metta in campo performance migliori rispetto a quelle della fase a gironi, chiusa al 2° posto per i due inopinati pareggi contro i modesti austriaci del Wolfsberger. Guai a sottovalutare il Gent (al momento in 2ª posizione nel campionato belga), in grado di vincere da imbattuto il proprio raggruppamento (davanti a Wolfsburg, Saint-Étienne e Oleksandrija) e lontano parente della formazione affrontata dai giallorossi nell’estate del 2009 e sconfitta con un complessivo 10-2 (3-1 all’Olimpico e 1-7 in Belgio) nel terzo turno preliminare della prima edizione di Europa League.

Nel corso dell’ultimo decennio, “i bufali” (soprannome risalente alla visita di Buffalo Bill alla squadra agli inizi del XX secolo) hanno vinto per la prima volta nella loro storia la Jupiler Pro League (nel 2014/2015), spingendosi fino agli ottavi della Champions League 2015/2016.

Dalla Russia alla Polonia, da Mosca a Danzica, dal 1999 al 2020: per l’Italia è giunta l’ora di tornare sul gradino più alto dell’Europa League. Appuntamento al 27 maggio, giorno della finale, allo Stadion Energa Gdańsk.

Stefano Scarinzi
20 febbraio 2020

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