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Napoli tradisce il grande sogno di Lamont Young

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Una delle tante leggende napoletane narra di un’ombra che nelle rigide notti d’inverno si aggira inquieta sulla stupenda terrazza del Castello di Pizzofalcone. La sua origine affonda le radici nell’amore sofferto e non corrisposto di Lamont Young per Napoli, conclusosi tragicamente con un colpo di pistola alla tempia, proprio su quella terrazza di fronte al mare.
L’architetto e urbanista Young, scozzese di origini ma napoletano di nascita, in questi giorni è tornato d’attualità per un’impropria citazione del professor Fabio Mangone. Nel tentativo di sottrarsi alle polemiche suscitate dal suo progetto di realizzare una incongrua torre di 60 metri di altezza nella piana di Bagnoli, ha sostenuto che il “monolite” è una sorta di omaggio alla memoria di Young. In realtà, quest’ultimo aveva progettato ben altro destino per l’occidente partenopeo.

 

Esponente di spicco dell’eclettismo napoletano, Young è ricordato per i suoi studi futuristici della metropolitana di Napoli (1872) e sull’espansione a occidente della città, rispettosa della natura, finalizzata a uno sviluppo sostenibile del turismo (Rione Venezia, 1886). Problematiche ancora vive che l’urbanista visionario affrontò nella seconda metà dell’Ottocento proponendo soluzioni avanzate e originali, boicottate dai suoi contemporanei.

Oggi testimoniano la sua attività il Castello di Aselmeyer al corso Vittorio Emanuele, seppure deturpato da un corpo di fabbrica orripilante, autorizzato sia dalla soprintendenza sia dal comune; la sede dell’Istituto francese Grenoble; il Parco Grifeo e Villa Ebe. Quest’ultima, conosciuta ai più come il Castello di Pizzofalcone, fu costruita sul fianco occidentale del monte Echia tra il 1920 e 1922, secondo il gusto e lo stile vittoriano di Lamont Young. La villa dedicata alla giovane moglie, fu abitata da Young fino alla sua scomparsa (1929). Sul finire degli anni ’90, il Comune di Napoli acquistò la pregevole villa dai suoi eredi per trasformarla nel Museo dell’architettura liberty. Da questo atto Villa Ebe entrò a pieno titolo nel novero dei misteri di Palazzo San Giacomo.

Ben presto, infatti, fu occupata e vandalizzata dai senzatetto e, tre giorni prima dell’approvazione della delibera dei lavori di restauro, fu seriamente danneggiata da un furioso incendio di origine dolosa. Buona parte degli arredamenti interni andarono irrimediabilmente perduti con la devastazione delle sale, così come andò fatalmente distrutta la stupenda scala elicoidale in legno. A luglio 2005, la giunta municipale finalmente approvò il progetto di recupero. Filologico per le parti originarie graziate dal fuoco, e con l’innesto armonico di nuovi manufatti edilizi per quelle devastate. Ma l’inconcludente amministrazione Iervolino perse, per propria incapacità amministrativa, oltre undici milioni di fondi europei necessari alla concretazione del progetto.

Col trascorrere del tempo, il museo dell’architettura liberty lascia il passo alla immancabile “Casa del turista”. Un info-point per i servizi d’informazione, di accoglienza e promozione delle iniziative culturali. Nel frattempo continua a essere un degradato e mortificante “centro di accoglienza” per senzatetto, immigrati clandestini e barboni. 

Nel luglio 2008 la Regione Campania approvò nuovamente un finanziamento con fondi europei i lavori di ristrutturazione e riutilizzo dell’ex residenza di Young per un totale di 3.350.000 euro. Ma il progetto che doveva essere finanziato sul Fesr 2007-2013 anche questa volta a causa dell’amministrazione Iervolino, fu bocciato con altri 106 dai funzionari dell’assessorato regionale al Bilancio e dell’Autorità di gestione per insufficienze documentali. A distanza di due anni, sembrava delinearsi l’occasione propizia. La campagna elettorale per l’elezione del consiglio regionale della Campania era appena alle prime battute e Bassolino varò numerose iniziative nel tentativo di recuperare il consenso perduto. Tra queste il “grande programma per il centro storico” dal quale dovevano essere attinti i fondi per l’esecuzione del progetto Villa Ebe. Sembrava fatta, tanto che l’assessore comunale all’edilizia Pasquale Belfiore, tra lo stupore generale, fissò per la fine del 2010 l’inizio dei lavori di restauro anche in considerazione del fatto che il progetto era già esecutivo e cantierizzabile.

Da quel momento invece sui “bassi” da adibire a botteghe artigiane, sulla riqualificazione delle Rampe di Pizzofalcone e sulla ristrutturazione di Villa Ebe è di nuovo calato l’inconcepibile silenzio dell’amministrazione comunale e a nulla sono valse le reiterate e accorate sollecitazioni a fare presto lanciate dal presidente della municipalità 1, Fabio Chiosi. Ovviamente gli occupanti abusivi di casa Young sono ancora tutti lì, mentre il degrado di Villa Ebe ha toccato livelli inauditi. A ricordare l’esistenza del progetto di recupero delle rampe Lamont Young restano i lavori in corso per la costruzione dell’ascensore che da Santa Lucia porterà su a Pizzofalcone ove, a breve, sarà possibile visitare i ruderi di una villa costruita agli inizi del ’900 da un architetto sognatore e innamorato – non ricambiato – della sua Napoli.

A ricordare Young non monumenti, non monoliti su fondamenta speculative fatti elevare dal comune, ma solo un toponimo e l’amore di quanti come lui continuano a sognare una Napoli con meno cemento, più idee ed in sintonia con le peculiarità del suo territorio. L’area di Bagnoli e l’originario progetto di riqualificazione urbanistica per il suo rilancio fondavano appunto sulla piena valorizzazione della dimensione ambientale. Sarebbe doveroso per l’amministrazione comunale dedicare alla memoria dell’architetto anglo-partenopeo l’enorme parco botanico che si estenderà per  oltre 120 ettari tra il litorale di Coroglio e l’abitato di Cavalleggeri Aosta.
Lidio Aramu

Pubblicato su Il Secolo d'Italia del 14.12.2011

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