Il decreto legge presentato dal consiglio dei ministri dell’esecutivo Monti contiene, nelle sue linee guida, tagli nel settore della pubblica amministrazione pari a 10 mila statali. Tra le misure proposte, le quali saranno varate nei prossimi giorni dopo gli incontri con le parti sociali, figurano ulteriori inasprimenti della spesa pubblica in quei settori, sanità ed istruzione, già fortemente penalizzati dalla scure rigorista della spending review.
L’urgenza del provvedimento tradisce una sorta di contraddizione rispetto alla messe di elogi verso il piglio decisionista mostrato dal primo ministro italiano, all’indomani del vertice europeo di Bruxelles del 28-29 giugno. Nella due giorni di incontri tra i capi di stato e di governo dei paesi membri dell’Unione Europea la proposta di matrice italiana, sostenuta dal francese Hollande e dallo spagnolo Rajoy, di uno scudo anti-spread ha messo in discussione- almeno in teoria- il ruolo egemone del patto di stabilità difeso dalla Germania di Frau Merkel. È apparso agli osservatori e all’opinione pubblica che la stretta tedesca sul rigore di bilancio cominciasse a mostrare le sue prime crepe a fronte di un’evidente paralisi della crescita e della competitività dell’Eurozona. Infatti l’idea di un meccanismo di interventi a tutela dei paesi virtuosi dell’euro, ossia l’applicazione del Fondo salva-stati (Esm) per stabilizzare il differenziale tra i bund tedeschi e i bond dei paesi in linea con il pareggio di bilancio (in sintesi si tratta della proposta di Monti), è riuscita a scalfire l’integerrima opposizione tedesca a qualsiasi forma di condivisione del debito (leggi eurobond) volto alla ripresa dell’economia comunitaria.
Il plauso internazionale all’inaspettata presa di posizione italiana ha lasciato presagire una svolta in senso federalista rispetto alla mancanza di un’unione bancaria e di una politica federale. Anche la risposta dei mercati non si è fatta attendere, lanciando piccoli ma significativi segnali di ripresa. Nel clima di giubilo generale, tuttavia, è mancato un riferimento sostanziale al concetto di crescita più volte evocato. Infatti, nel pre-vertice romano tra i rappresentanti dei governi di Germania, Francia, Italia e Spagna, avvenuto a ridosso del summit di Bruxelles, era stato stabilito un piano d’investimenti pari a 120 miliardi. Di questo pacchetto sono rimaste solo le tracce già consumate di un’Europa stanca che si trascina nel vuoto dei vertici e nella morsa dello spread.
La cronaca politico-economica degli ultimi giorni ci consegna un ennesimo incontro bilaterale tra Monti e la Merkel, quasi una resa del primo ministro italiano rispetto all’aut aut in quel di Bruxelles. Infatti la spending review varata dal governo e oggetto di polemica tra le parti sociali getta ancora una volta il peso del debito pubblico sui soggetti deboli della società, contribuendo così a fomentare un clima di disapprovazione volano dell’antipolitica. Tra l’altro occorre ricordare il malcontento suscitato dalla riforma del mercato del lavoro presentata dal ministro Fornero, nella quale è assente una politica di entrata nel mondo del lavoro a fronte, invece, di un inasprimento dei licenziamenti per motivi economici.
Il governo italiano, in sostanza, esegue bene i compiti dettati dal Parlamento Europeo ma dimostra ancora di non essere in grado di traghettare l’Italia dal baratro del default allo spiraglio della crescita.
Loredana Orlando