Che fine ha fatto il bene comune al tempo della crisi? Lo scenario politico italiano maturato nello scorcio finale dell'anno precedente ha posto una riflessione circa la perdita di credibilità della classe dirigente del nostro paese all'interno del proprio elettorato.
Com'è noto, la devastante crisi economica internazionale ha reso necessario l'intervento di drastiche misure correttive propugnate dall'asse franco-tedesco Sarkozy-Merkel e prontamente adottate, in Italia, dal governo tecnico subentrato in forza all'esecutivo berlusconiano. Di fatto, la pletora degli esperti con a capo il prof. Mario Monti- per la cui nomina a presidente del consiglio dei ministri si era speso personalmente il maggior rappresentante della Repubblica, Giorgio Napolitano,- simboleggia la perdita del referente politico.
La responsabilità di tale declino è da ricondurre alla stessa politica sclerotizzata e irrigidita nella certezza dell'esercizio del potere conquistato una volta ottenuti i voti necessari. Ne consegue un progressivo quanto inesorabile allontanamento dalla res publica, in particolare dalla res, ossia dalla cosa intesa come l'oggetto precipuo della politica: il bene comune. Forse risulta anacronistico citare il significato platonico della funzione governativa ma, considerando la decadenza dei nostri tempi, occorrerebbe ripercorrere un cammino a ritroso nella storia antropologica ravvisando nel ritrovato rapporto tra l'uomo e il mondo la condizione per una palingenesi collettiva.
Pertanto la conoscenza diretta dell'oggetto renderebbe possibile un intervento correttivo, un'inversione di rotta, un auspicabile miglioramento dell'esistente. Inoltre, l'effettivo coinvolgimento pubblico consentirebbe il superamento delle forme privatistiche del potere alle quali la nostra democrazia deturpata non sembra porvi rimedio. Mai come ora urge una riqualificazione della classe politica e della sua missione al fine di non cedere alle lusinghe estemporanee del qualunquismo e alla pericolosa deriva dell'antipolitica, come ha ben scandito Napolitano durante le celebrazioni del 25 Aprile. D'altronde, il distacco dalla dimensione concreta dell'agire politico denota l'immagine del nostro tempo nel vuoto di una rappresentanza fattiva e riconoscibile. La fine della partecipazione alla vita activa è oggi esemplata dai complessi quanto autoreferenziali organismi sovraindividuali i cui paradigmi condizionano finanche le relazioni più intime. Dunque, in riferimento a quanto detto, si comprende la necessità di una rinnovata comunicazione tra la politica, con i suoi rappresentanti, e i cittadini. Comunicazione sostenuta dalla volontà comune di guardare il futuro con la prospettiva del cambiamento. Impresa non da poco.
Loredana Orlando