Dinanzi a una crisi che sta stritolando il tessuto imprenditoriale italiano, dinanzi a uno scenario che vede accomunati imprenditori, operai, impiegati che mossi dalla disperazione arrivano al compimento di gesti estremi, dinanzi a uno Stato che non è in grado di pagare i suoi debiti, il Presidente del Consiglio Mario Monti s'indigna. Esprime, ovvero, "una parola di sdegno verso chi ha governato, governa o si candida a governare e giustifica l'evasione fiscale, istiga a non pagare le tasse o a istituire arbitrarie compensazioni fra crediti e debiti verso lo Stato". Per il premier "altri sono i modi con cui un Paese serio può risolvere i suoi problemi".
Mario Monti parla di serietà, dimenticando che la prima istituzione a esserne carente è proprio lo Stato, al punto da costringe centinaia di imprese alla liquidazione o al fallimento perché non è in grado di pagare i debiti maturati nei loro confronti. Il tecnocrate di Palazzo Chigi è così immerso nella missione di 'salvare l'Italia, da arrivare a una risposta stizzita, non solo per l'invito alla rivolta fiscale, che può essere più che condivisibile da parte di un rappresentante delle istituzioni, ma anche per chi ritiene che i crediti vantati dalle aziende e dai cittadini nei confronti dello Stato, possono essere portati a compensazione con le tasse da pagare.
Non è ben chiaro quali siano i pilastri su cui poggiano le considerazioni di Monti, ma la vera indignazione la dovrebbe usare contro uno Stato che esige il pagamento delle imposte a fronte di debiti che lui stesso ha nei confronti delle imprese e che non è in grado di pagare. Ed è per questo che la sensazione che il distacco dalla realtà e dal Paese stia crescendo in modo irrimediabile, è sempre più forte.