di Marco Rossi-Doria - La Repubblica Napoli 24 aprile 2011
Cinque anni fa mi sono presentato alle primarie, che furono annullate; e dunque a sindaco. In tanti costruimmo una lista civica. Con un programma realizzabile e ancora largamente attuale.
In quella prova di democrazia - il doppio turno è questo - fummo accusati di favorire Berlusconi e di altre cose non vere.
Fui e fummo sconfitti. Ma - come ebbe a dire la compianta Monica Tavernini - «abbiamo commesso errori, abbiamo detto molte verità, fatto proposte serie, perseguito un metodo di confronto tra appartenenze diverse sul da fare per la città e soprattutto ci siamo divertiti». Siamo tornati ognuno a fare il proprio mestiere. Senza risentimenti, rivendicazioni o cooptazioni. In una città dove la politica è divenuta una pratica aggressiva e noiosa, che viene usata per molte rendite e con pochi risultati, quella dimensione civica, gaia e attenta all´ascolto dell´altro resta la promessa.
Oggi molte persone che hanno vissuto quella esperienza sostengono uno o l´altro degli attuali candidati. E spesso portano alla presente prova elettorale metodi, elementi di programma, speranze nati allora. C´è da esserne contenti. E per fortuna nessuno più si permette di dire che l´avere al primo turno tanti candidati favorisce chi sa quali terribili pericoli.
Ciò detto, il tempo non è passato bene. Né per la città né per la politica.
La povertà ha i tassi più alti del paese. Siamo ultimi per qualità di vita. Quasi centomila persone sono andate via. Sono le persone meglio preparate, più libere, giovani e fattive. Siamo tornati sotto il milione di abitanti, come sessant´anni fa. Non si è fatto mai il piano strategico promesso per uscire dalla crisi industriale che ebbe inizio quaranta anni fa e un idea di città produttiva non ha trovato la sua via. Il piano regolatore è rimasto un moloch disatteso. Ma mentre i suoi proponimenti hanno languito protetti da un delirio dirigista, è successo che, in mille rivoli incontrollati, piccoli e grandi potenti hanno fatto quel che volevano mentre, specularmente, le esperienze di "rispettoso e creativo uso della città" sono state derise e mortificate. Il decentramento amministrativo non ha avuto strumenti per diventare tale. Salvo creare un esercito di mediatori clientelari in ogni quartiere e di ogni colore. La manutenzione ordinaria semplicemente non esiste e strade, sottosuolo, fogne, spazi pubblici ne sono la prova. Non si è mai voluto credere alla raccolta differenziata. La più parte delle opere pubbliche ristagna da anni. La città dei bambini si è eclissata. Le politiche per il welfare e la scuola si sono trascinate nell´inerzia, fino a fare chiudere le tante buone iniziative. La macchina comunale è almeno vent´anni indietro rispetto a una normale città europea. Le società partecipate sono state largamente improduttive mentre hanno foraggiato intere schiere di parassiti. Il budget è a un passo dal dissesto.
E la politica? Mancano venti giorni alle elezioni e ancora si spera - lo dico senza ironia - che il sindaco uscente consegni alla città l´elenco delle cose fatte e non fatte, il pubblico bilancio del proprio operato di dieci anni. Vedremo. Ma, intanto, a nessuno sfugge che viviamo in una città peggiorata come poche volte in tempo di pace. E poiché questo non era un risultato inevitabile, è largamente dovuto alla politica locale. In primis al centro-sinistra che ha governato male. E anche alla destra, che non ha proposto vera alternativa. In aggiunta, la gestione della crisi ha visto costanti trasferimenti di capitali da sud a nord colpendo la nostra economia, mentre i forti tagli nei trasferimenti pubblici alle città penalizzano chi sta peggio, evidenziando la volontà di punire il Sud da parte di un governo molto amico della Lega e poco di Napoli.
Così andiamo al voto. E sappiamo tutti che ci andiamo menomati nella nostra stessa libertà di scelta a causa di un sistema di consenso anomalo perché condizionato da "pacchi di voti" controllati su base di scambio o peggio. Il che, in una città povera, è parte integrante dell´esclusione sociale e civile, qualcosa di molto pervasivo, che attraversa ogni forza politica.
È in questa situazione che ho deciso di sostenere la candidatura a sindaco di Mario Morcone.
Infatti non posso votare Lettieri. Perché la sua candidatura è stata decisa su diretta indicazione di Silvio Berlusconi. Perché il centrodestra è condizionato in tutto dalle politiche del governo più anti-meridionalista della storia e perché - una volta conquistate Provincia e Regione - non ha mostrato alcun buon risultato né orizzonte di speranza. Inoltre egli è legato alla porzione più opaca del suo schieramento, con la forte influenza di Cosentino. Quando sul palco degli appelli finali saranno fianco a fianco il Berlusconi di questi mesi terribili, Cosentino e Lettieri, sarà difficile non vedere di che si tratta.
E rispetto agli altri candidati - intendo dirlo in positivo - preferisco Morcone perché egli rappresenta una chiara cesura: è un prefetto e ha un profilo tale da promettere una ormai indispensabile sospensione del fallimentare primato delle vicende di partiti e correnti di tanto centrosinistra locale. Egli sta mostrando in queste settimane di volere stare ancorato alle cose da fare, di comprenderne la complessità, di avere più passione per la costruzione di soluzioni che per le denunce e le promesse. Ha un´evidente propensione - nel profilo umano come nel lessico - alla riparazione più che al grido. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Infatti Morcone non evoca il salvatore della patria che tanto danno ha fatto alla nostra città, così incline a farsi intrappolare tra mitizzazione del capo-salvatore e sua trasformazione in capro espiatorio. Se della lunga stagione passata dobbiamo imparare qualcosa, questa è che non abbiamo più bisogno di capi eroici a cui giurare fedeltà e di proclami altisonanti. Morcone ha scelto di mostrarsi per quello che è: un capo cantiere sofisticato, solido, pacato e costante. Con cui confrontarsi sulle cose possibili, con garbo e attenzione al come fare. Dicono questo di lui il suo profilo professionale, i suoi tanti estimatori, il suo stile. E poi i risultati del suo lavoro all´estero, sui rifugiati, sui beni sequestrati al malaffare. E lo dice il modo con il quale sono stati conseguiti: ascolto, gioco di squadra, decisione. È intorno a una persona così che, con fatica, si possono rimuovere le nostre macerie e far ripartire la città.



