Luci sul centro storico

Contro l'immobilismo della politica, le associazioni civiche scendono in campo a difesa del sito patrimonio dell'Unesco e chiedono l'affidamento delle Chiese chiuse e abbandonate. Ma il resto della città è assente
“Il numero è potenza” si leggeva sui muri dell’Italia littoria. Imperativo che nella repubblica nata dalle sue ceneri si è tramutato in “il numero è consenso”. A Napoli, fatta salva la partecipata manifestazione d’interesse interprovinciale per l’avvelenamento dei suoli agricoli, il numero non è né potenza, né consenso. A meno che non si voglia considerare la scarsa partecipazione di popolo agli eventi organizzati dalle civiche associazioni su temi di grande rilevanza socio-economico-culturale allo stesso modo del silenzio-assenso della burocrazia.

L’ultima manifestazione, in ordine di tempo, ha avuto come focus le chiese, cappelle e congreghe del centro storico chiuse da moltissimi anni per mancanza di fondi per la manutenzione, sacerdoti e fedeli e che la Curia non ha ancora affidato alle associazioni come voleva il cardinale Crescenzio Sepe per dar nuova vita a brandelli obsoleti e negletti di città. Alla manifestazione hanno partecipato numerosi comitati di cittadini, ma non il popolo della rete, pur sollecitato per tempo. Forse il tema ristretto alla sola concessione degli ex edifici di culto ha generato qualche equivoco o, forse più semplicemente, non è stato condiviso.

Oltre la propaganda e le opinabili interpretazioni della gestione civica del sindaco de Magistris, permane, infatti, l’atavico degrado del tessuto urbano non di una sperduta periferia, già di per sé inconcepibile, ma del cuore pulsante della città che da oltre un ventennio è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

Sul centro storico di Napoli sono stati scritti un numero sterminato di cahiers de doléances, sono state recitate incalcolabili pantomime e pronunciate un’infinità di retoriche dichiarazioni d’intenti senza che tutto ciò abbia determinato un benché minimo effetto sulla progressione del degrado e sulle inadeguate politiche di gestione del territorio e del patrimonio artistico-monumentale.

Un decadimento che trova nelle mancate scelte economiche ed urbanistiche e negli inesistenti interventi degli Enti preposti alla salvaguardia e alla valorizzazione del Centro storico – prima fra tutti la Civica amministrazione – la ragion d’essere e che rappresenta, emblematicamente, la demarcazione tra passato e presente, la frattura tra popolo e borghesia, l’incomunicabilità tra cittadini e classe dirigente.

Manca una “coscienza civica”. Una coscienza in grado di elevarsi alimentando il suo presente con la preziosa linfa che le proviene dalle profonde e vitali radici culturali. Una coscienza che renda popolare il proprio retaggio culturale affinché la stessa civiltà diventi patrimonio comune e costume della gente.

Anche se non dichiaratamente, l’impegno delle civiche associazioni va in questo senso. Lo dimostrano l’appartenenza interclassista degli associati e l’intensificarsi delle iniziative messe in campo a tutela delle preziose tessere dell’incommensurabile mosaico della storia di Napoli.

Quello delle chiese danneggiate, saccheggiate, devastate - anche grazie all’omertosa insensibilità omertosa dei cittadini - e chiuse è un argomento molto complesso ed in cui è difficile distinguere colpe, inefficienze, complicità ed investe senza distinzioni, se non per le loro specifiche attribuzioni, Soprintendenze, Dipartimenti universitari, autorità ecclesiastiche e pubblici amministratori. Tra l’altro, il riutilizzo delle chiese sconsacrate, pena l’inefficacia dell’intervento, non può prescindere da un’opera di valorizzazione e recupero architettonico-funzionale dell’intero Centro storico.

In tale prospettiva, le istituzioni scolastiche, i Consigli di Municipalità e le associazioni civiche potrebbero dare un contributo decisivo alla formazione della “coscienza civica” rendendo i cittadini sensibili ai problemi della conservazione e del rispetto del patrimonio artistico - monumentale partenopeo.

La civica manifestazione di Donnaregina non va quindi interpretata riduttivamente. Non è stato un furbesco escamotage per far pressione sulla Curia al fine di ottenere l’assegnazione dei templi in disuso, ma va considerata nella sua valenza più ampia. Si è trattato, infatti, dell’ennesimo tentativo di far balenare nell’arido encefalo dei frequentatori dei meandri, dei cubicoli e delle anticamere dei palazzi del potere, l’idea che riqualificare il Centro antico, recuperare il Centro storico, significa creare una nuova e rilevante occupazione negli ambiti del restauro strutturale ed artistico, dell’artigianato, del turismo e della cultura.

E’ essenziale perciò che la politica definisca un piano d’interventi nell’ambito di un riposizionamento funzionale della città sull’originario tratto mediterraneo della sua storia.

Dal porto di Napoli, transitano ben oltre un milione e 300 mila turisti ogni anno. Si tratta di un flusso enorme di visitatori la cui permanenza in città, per la miopia dell’amministrazione comunale, si riduce nel migliore dei casi ad una “toccata e fuga”, senza apprezzabili ricadute economiche. Basterebbe poco ad attivare preziose e feconde sinergie con il Conservatorio di S. Pietro a Majella, l’Accademia e l’Istituto di Belle Arti, la Scuola per la ceramica e la porcellana di Capodimonte, gli enti museali…, per animare con concerti, mostre, esposizioni, e per l’intero anno, gli slarghi, piazze, gallerie, chiese, cassa armonica e gli innumerevoli angoli suggestivi che solo il centro storico di Napoli è in grado di offrire.

Sarà mai possibile veder tradotta in realtà tale ipotesi? Ogni ottimismo a riguardo sembra smentito da quanto sta accadendo per il Grande Progetto “Centro storico di Napoli, valorizzazione del sito UNESCO” finanziato con fondi europei.

Un progetto che si prefiggeva di rigenerare il continuum urbano, mediante il rifacimento e potenziamento delle infrastrutture, la valorizzazione del patrimonio monumentale pubblico e privato al fine di promuovere il miglioramento della qualità ambientale e sociale dello spazio urbano…
I lavori, per un complessivo ammontare di 100 milioni di euro, dovevano iniziare a febbraio di quest’anno. Siamo a novembre e di cantieri aperti purtroppo non si nota neanche l’ombra.

Ma le associazioni civiche non demordono. Continuano a levare alta la loro voce per creare quelle condizioni che permetteranno a Napoli di ritrovare finalmente una dimensione socio-economico-culturale degna delle tradizioni del suo passato ed in linea con i trend evolutivi della modernità.
Lidio Aramu