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A Napoli, la contro-rivoluzione non passerà!

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Parola di Giggino ‘a Marianna
Nel 2011 si formò un’alleanza contro il privilegio e genericamente per la libertà e l’uguaglianza. Alleanza che si rivelò vincente seppure minorataria, rispetto al numero degli elettori aventi diritto al voto. Tuttavia, con l’acuirsi delle difficoltà della crisi economica, con lo sviluppo dei contrasti sociali derivati dal blocco della mobilità nel centro storico di Napoli, quest’alleanza culminò sì col governo rivoluzionario di Giggino ‘a Marianna, ma all’alto prezzo di lacerazioni del tessuto del Terzo Stato (borghesia dell’artigianato, del commercio, delle professioni…).
Si arrivò così alla “guerra” che portò il paese ad un passo dalla rovina, mentre una grande e grave crisi economica europea azzannava risparmi e consumi dei napoletani.

Il consenso, e a volte l’adesione entusiastica delle masse, poté preservarsi solo laddove non s’interruppe il processo di aggregazione spontanea intorno alla “borghesia” rivoluzionaria (quella arancione ovviamente) di ampi strati di piccola e media borghesia urbana.

Il ceto medio è stato dunque, in assenza della contrapposizione netta tra borghesia e proletariato, l’elemento determinante dello scontro. Ma come sempre, la piccola borghesia ha avuto durante la Rivoluzione caratteristiche oscillanti tra gli interessi delle masse arancioni e quelli della borghesia vera e propria. Ed ora che è stata appiedata propende decisamente a schierarsi a destra non esistendo più una sinistra, tra l’altro, responsabile dell’attuale sfascio amministrativo.

Gli uomini che guidarono gli arancioni all’assalto di Palazzo San Giacomo pensavano di lottare per la liberazione non di una data classe sociale, ma al tempo stesso di tutto un popolo. «Bisogna – disse Giggino ‘o Robespierre – che l’autorità esecutiva sia posta in mani popolari e incorruttibili, in mano di quegli uomini puri che trovano la propria felicità nella felicità generale».

I contro-rivoluzionari delle Ztl, della Caracciolo scippata, nelle cui fila si trovava ormai gran parte della borghesia posillipina e chiajaiola, sembravano minacciare da ogni lato le fulgide conquiste della Rivoluzione.

Le classi popolari vivevano nell’angoscia. Cresceva il costo della vita e la disoccupazione. Il “Direttorio” tentava di far passare la tesi che tutti i mali fossero provocati dalle mire contro-rivoluzionarie di borghesi, commercianti, automobilisti, senza tetto (ovviamente tutti camorristi e tutti appiedati). Forse preparavano a colpi di tric trac e castagnole addirittura il massacro politico di tutti i rivoluzionari.

Il movimento rivoluzionario per vincere doveva quindi essere rapido ed efficace. Doveva battere sul tempo la contro-rivoluzione borghese. Così nel germile del ’13, il primo giacobino lanciò su twitter gli imperativi categorici: «Le città sono in ginocchio senza fondi, il Paese e' senza guida e Governo, il conflitto sociale sta esplodendo, noi ci schieriamo con la lotta», «E' venuta l'ora di sconfiggere il capitalismo e fondare una nuova era di economia dal basso, dalle comunità, dagli spazi urbani, dalla terra».

Fu un grandissimo successo che diede prestigio alla borghesia rivoluzionaria. Fu soprattutto uno straordinario incoraggiamento per la mobilitazione spontanea ed autonoma delle masse arancioni. Il successo era stato tutt’altro che scontato, ma Napoli era salva…

«Gi’, sveglia! Gigi, ti sei addormentato col libro aperto… Dai Giggino! Alzati che in Piazza Municipio ti attendono i Vigili Urbani, la Polizia mortuaria, il personale delle scuole comunali e del depuratore di San Giovanni. Si dice che protestino contro i tagli ai salari. Forse saranno altri camorristi. Probabilmente essi ignorano che tu sei “fatto per combattere il crimine, non per governarlo. Non è ancora giunto il tempo in cui gli uomini onesti possono servire impunemente la patria. I difensori della libertà saranno sempre dei proscritti finché la masnada dei furfanti dominerà”».
Lidio Aramu

 

 

* immagine: caricatura di Marco Catizone

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