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Il cambiamento come mito

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Colpisce una cosa del successo napoletano di Luigi de Magistris ed è la riproposizione, in piccolo, dello schema politico del 1993. Le primarie stanno al posto delle inchieste di tangentopoli; oggi come allora c’è una radicale delegittimazione della classe politica e, per dirla con il Bassolino di quegli anni, un’amministrazione comunale che da tempo, ormai, non rappresenta più la città. Lo stesso exploit dell’ex pm ricorda il successo analogo, ed effimero, dei campioni del cambiamento di allora, come Claudio Fava a Catania, sconfitto di misura alle comunali da Enzo Bianco che capeggiava una coalizione di centrosinistra. Un destino che non è toccato oggi al prefetto Morcone.
Quando al tempo delle elezioni regionali del 2010 il successo di Caldoro fu salutato da più parti come fine di un ciclo politico, il presidente uscente della Campania disse, con un certo acume, che quella vittoria era anche il frutto di un mito politico tipicamente meridionale, il cambiamento. Ma il Bassolino del 1993 si sentiva alla guida di un processo analogo. Anzi, la sua analisi di allora insisteva sul ruolo delle inchieste giudiziarie. Avevano creato, disse, le condizioni del cambiamento. Oggi è proprio un giudice a candidarsi a Napoli, più contro di lui che contro la destra. È un contrappasso crudele e sicuramente immeritato, ma oggi Bassolino è per l’elettore di de Magistris, quello che a suoi occhi nel 1993 era Antonio Gava.

Del clima politico-culturale dei primi anni Novanta de Magistris è figlio più che legittimo. Bassolino cavalcò quel movimento con la determinazione dei suoi quarant’anni. Oggi il quarantenne de Magistris lancia la sfida per il Comune con una retorica che deriva direttamente da lì. De Magistris è frutto biografico e culturale della frattura etica degli anni Novanta. Tutta una generazione, sua coetanea, è stata educata dentro quella frattura e molte vocazioni professionali per la magistratura sono nate nel suo solco. Non più destra e sinistra, ma i giusti e gli ingiusti. Questo è successo al nostro paese e da qui non riusciamo a venire fuori.

In molti, in questi giorni, provano a fare un parallelo tra la vittoria di Pisapia a Milano e quella dell’ex pm a Napoli. Sbagliano. Pisapia è un avvocato garantista, molto simile a quel Giuliano Spazzali che fu il grande avversario anche mediatico di Antonio Di Pietro. Del partito di Di Pietro, de Magistris un esponente, anche se vocazionalmente parricida. E qui semmai c’è da fare una riflessione. Mentre la sinistra a Milano, dopo le perenni tentazioni dei Dalla Chiesa e dei Dario Fo, una strada diversa in questi anni l’ha trovata e oggi ha un candidato sindaco che non gioca a fare il vendicatore; Napoli ritorna al passato e al mito del cambiamento che fu anche di Bassolino.

Forse è questo l’esito peggiore della lunga stagione del centrosinistra partenopeo. L’aver congelato la città nel gesto di vent’anni fa. Se Marx fosse vivo e si degnasse di volgere lo sguardo alla campagna per le amministrative di Napoli, con suo noto sarcasmo osserverebbe che è uno di quei casi in cui il morto afferra il vivo.
Adolfo Scotto Di Luzio - Corriere del Mezzogiorno
24 maggio 2011

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