Medioevo Italiano

Cara Italia, hai toccato il fondo, ora devi destarti!

9 luglio 2006: l’Italia è campione del mondo per la quarta volta nella sua storia. Feste, caroselli, sfilate e la classica abitudine italiana di salire tutti sul carro del vincitore.
13 novembre 2017: l’Italia non va oltre uno scialbo 0-0 casalingo con la modesta Svezia ed è eliminata nel play off di accesso al Mondiale 2018, mancando per la prima volta dopo sessant’anni la qualificazione alla massima rassegna intercontinentale.

Si è chiuso così, nel peggiore dei modi, il decennio nero della Nazionale italiana, paragonabile solo al periodo 1958-1966. All’epoca, dopo la sconfitta contro gli sconosciuti nordcoreani, madre di tutte le figuracce calcistiche azzurre, fu adottata una soluzione drastica: blocco delle frontiere e possibilità di schierare solo calciatori italiani.

Altri tempi, altre leggi, altre regole, altro calcio. Sebbene invocata da molti, un’idea del genere oggi sarebbe impossibile da praticare. Restando esclusivamente in ambito tecnico, un tale provvedimento rappresenterebbe una pietra tombale sulle già flebili speranze dei club italiani nelle competizioni europee.
Come ripartire allora? Semplicemente, si potrebbe iniziare con il non ripetere i tanti, troppi errori del passato. Su tutti, il cullarsi sugli allori di un successo successivamente rivelatosi effimero. Cosa avvenuta ciclicamente nel 2006, nel 2012 e nel 2016.

Dopo il trionfo tedesco, non si è avuta la bravura e l’intelligenza di accorgersi che quella Nazionale, seppur splendida e fortissima, fosse al suo canto del cigno, abbondando di over 30, consapevoli di giocarsi l’ultima chance di conquistare la coppa del mondo.

Nel 2012, invece, il periodo di grazia dei senatori, vogliosi di riscattare il deludente quadriennio precedente, e, soprattutto, di Mario Balotelli, nel miglior mese della sua inespressa carriera, ha permesso di sopperire almeno fino alla finale degli Europei allo scadimento qualitativo della squadra, deflagrato negli anni successivi.

Nel 2016, infine, solo il capolavoro tecnico, tattico e motivazionale di Antonio Conte ha consentito ad una delle rappresentative azzurre meno forti di sempre di battere la Spagna e di arrivare ad un rigore dall’eliminazione della corazzata tedesca.

Antonio Conte. Proprio l’attuale tecnico del Chelsea permette di approfondire un altro aspetto fondamentale di quello che dovrà essere il futuro azzurro. Non si creda che basti il ritorno dell’ex CT o un qualunque altro nome di grido per vincere i prossimi Europei. Sarebbe troppo facile individuare nell’inadeguato Gian Piero Ventura il solo e unico responsabile del fallimento mondiale.

Il cambiamento deve partire dall’alto, dalla presenza di una classe dirigenziale seria e competente. Il modello potrebbe essere la Germania. Reduci dal flop a Euro 2004 e con una rosa dall’età media altissima, i tedeschi si sono rimboccati le maniche ripartendo dall’abc, dalle scuole calcio, dai centri federali sparsi su tutto il territorio nazionale, da idee di gioco uniformi per tutte le rappresentative, dalle giovanili alla Nazionale maggiore. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: Mondiale 2014, due Europei Under 21 e la Confederations Cup 2017, che assume enorme valore perché conquistata di fatto con la selezione Under 21.

Stop agli istruttori improvvisati e non in possesso dei necessari requisiti, stop ad estenuanti sedute tattiche a bambini di dieci anni, stop a selezioni basate solo ed esclusivamente sulla struttura fisica del ragazzo, a discapito della qualità. Bisogna che si torni a dare del “tu” alla palla.

Neuer, Boateng, Özil e Müller. Piqué, Busquets, Isco e Morata. Mentre Germania e Spagna sfornavano giocatori di questo calibro, l’Italia schierava una squadra spaccata in due, divisa tra vecchi fuoriclasse, vicini ormai agli “-anta”, e ragazzi privi di esperienza internazionale. E’ impietoso un raffronto odierno tra Marco Asensio, classe 1996, già protagonista nel Real Madrid e nelle Furie Rosse, e Andrea Belotti, anno di nascita 1993, ancora a zero nel tabellino delle presenze nelle competizioni continentali per club.

“Il prossimo Commissario Tecnico dovrà lavorare su un gruppo di 22-23 giocatori”. Parola di Dino Zoff. E come dare torto al portierone del Mundial 1982? Ben vengano gli stage, ma è inutile allargare eccessivamente il giro di convocazioni.

Non si guardi solo all’immediato, ma si ragioni sul medio-lungo periodo, insistendo sui giovani, che, fortunatamente, dopo il vuoto della generazione anni 80, sembrano poter rappresentare il traino della nuova Italia.
Solo in questo modo la Nazionale tornerà ad essere un punto di riferimento per addetti ai lavori, tifosi e semplici spettatori e non più una fastidiosa palla al piede, condizione necessaria per dare inizio al secondo Rinascimento italiano.

Stefano Scarinzi

20 marzo 2018