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Martedì 19 Marzo 2013 11:11

Verdi sacro, Verdi profano

Scritto da  Paolo Carotenuto
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Seminario di critica musicale a cura di Dario Ascoli, direttore di Oltrecultura. Casi studio: il Requiem e la Traviata
La Grande Messa da Requiem e La Traviata sono ritenute le massime espressioni  di Verdi, rispettivamente nell’ambito sacro e profano.
Nel corso del seminario si argomenterà nel merito di una demarcazione assai labile e sicuramente opinabile tra i due ambiti, tanto per la contiguità stilistica quanto per gli stessi stati d’animo della cosiddetta ispirazione, tant’è che il Requiem denota una cifra di grande laicità non meno di quanta religiosità ricercata dall’autore, e riflessa sui personaggi, si possa riscontrare in La Traviata.

 

Alla morte di Gioachino Rossini nel 1868, i musicisti italiani, su invito di Verdi, si proposero di realizzare una grande “Messa da Morto”, ma - benché in 13 (e gli scaramantici pensino ciò che vogliono) si fossero messi al lavoro - il solo Maestro di Busseto realizzò nei tempi previsti la sezione a lui assegnata, quel “Libera me” di vaste proporzioni che di lì a qualche anno sarebbe confluito nella “Messa da Requiem” per l’anniversario della scomparsa di un altro grande italiano, Alessandro Manzoni, opera eseguita il 22 maggio del 1874.

Se un grande direttore d’orchestra, uomo di teatro e di indiscutibile fede wagneriana come Hans von Bülow ebbe a definire il Requiem verdiano, non in senso di lode, come “opera in veste da chiesa”, un altro e ben più colto musicista anch’esso tedesco e autore di un requiem in forma libera e nuova (Ein Deutsches requiem) come Johannes Brahms parlò di “opera di un genio”.

Il musicista amburghese, che pure tanto si era ispirato al contrappuntismo tedesco e alla grande coralità luterana, dall’alto della propria genialità aveva saputo essere superiore a pregiudizi e a desideri di rivalsa e, pur identificando la profonda diversità linguistica, aveva riconosciuto il sommo valore del Requiem verdiano.

“[...] Mi sembra di essere diventato una persona seria, e di non comparire più come un pagliaccio dinanzi al pubblico, gridando: “Avanti, avanti, favorite!... battendo il tamburo e la grancassa” […]”, scriveva Verdi all’editore Ricordi.

Verdi sembra prendere le distanze dalle sue stesse immortali opere precedenti, ma in realtà l’affermazione va interpretata in considerazione dello stato d’animo del compositore, fortemente coinvolto nella stesura di una monumentale partitura sacra.

Verdi, più ancora che Dumas figlio con “La dame aux camelìas”, consegna ai posteri un tragico episodio di cronaca; la morte di Alphonsine Plessis, una cortigiana 23enne legata a molti intellettuali del suo tempo e allo stesso suo letterato biografo.
Quando e in quale occasione in Verdi sia nata l’idea di comporre un melodramma sulla tragedia di Dumas è argomento controverso, ma di rilievo sopratutto per i biografi; musicologi e melomani hanno, a buona ragione, scelto da molto tempo di dedicarsi all’approfondimento dei contenuti musicali e drammaturgici del capolavoro di Violetta, e in tale direzione è particolarmente pregevole proprio la revisione critica della partitura realizzata da Della Seta.

Il musicista era fermamente intenzionato a conservare la massima attualità alla vicenda e non si preoccupò, e mal gliene incolse, di ambientare la tragedia nel decennio centrale del XIX secolo.

Una storia di cortigiane e soprattutto di loro “nobili” protettori, che provocò una inconfessata indignazione da scomoda identificazione e un manifesto disappunto moralistico nel pubblico benpensante che, perciò, non si entusiasmò alla prima, in quel 6 marzo 1853 alla Fenice di Venezia.

Benché la censura avesse provveduto a imporre la retrodatazione nel melodramma, era evidente e diretta la derivazione dal contemporaneo lavoro di Dumas Figlio, e lo stile musicale e poetico dell’opera di Verdi risultavano dichiaratamente ottocenteschi.

“Un altro forse non l’avrebbe fatto per i costumi, pei tempi e per altri mille goffi scrupoli. Io lo faccio con tutto il piacere. Tutti gridavano quando io proposi un gobbo da mettere in scena. Ebbene: io ero felice di scrivere il Rigoletto”.

La censura veneziana si era meritata la fama di liberalità e non si oppose alla messa in scena del melodramma verdiano, obiettando solo circa il titolo che, in origine, sarebbe dovuto essere “Amore e morte” e stranamente concordando su “La Traviata”, che sottintendeva ben più ardite implicazioni.

Le analisi dettagliate delle partiture e dei testi, nonché delle celebri interpretazioni saranno oggetto del seminario intensivo.

 

 


DATA
: 27 marzo 2013 - ore 15-19
LUOGO: Aula didattica Sede Inpdap - via de Gasperi, 55 (adiacenze piazza Bovio) NAPOLI
PREZZO: 25,00 €
SCONTO COMITIVA: 100,00€ per gruppi di almeno 10 persone - 60,00€ per 5 persone
Al termine dell'incontro sarà rilasciato un ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE

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