L'urbanistica 'partecipata' e i misteri di Napoli

A un anno dalla finta America's Cup di vela, la riqualificazione di Napoli si perde nei progetti segreti dell'amministrazione comunale
Circa un anno fa, l’amministrazione comunale di Napoli approvava gli indirizzi per la riqualificazione urbanistica del tratto di costa corrispondente a Via Caracciolo, rotonda Diaz compresa. Un’opera di valorizzazione altamente simbolica e che doveva esaltare le potenzialità storico-paesaggistiche di uno dei luoghi simbolo di Napoli in occasione della finta-America’s cup.
Gli effetti di quest’opera meritoria sono tutt’ora visibili e potrebbero essere riassunti emblematicamente dalla patetica immagine della Cassa armonica di Enrico Alvino orrendamente mutilata della mensola apicale di ghisa e vetri colorati. Ma si correrebbe il rischio di non poter apprezzare fino ed in fondo il mirabile recupero di cotanta parte dell’incantevole paesaggio napoletano. Lo storico giardino della Villa comunale, sede privilegiata degli attendamenti del Barnum velico, doveva veder ristrutturate le fontane, i viali, alcuni edifici - il tempio di Virgilio e la Casina pompeiana – ed il patrimonio botanico in via di avanzata estinzione.
Insomma, un progetto radicale destinato a cancellare dal ricordo collettivo quello altrettanto memorabile del 1938, realizzato in occasione della visita di Stato del despota teutonico a Napoli.

Ad onor del vero, gli storici manufatti non sono neanche stati sfiorati da una mano di calce mentre il parco arboreo continua a registrare gravi rimaneggiamenti grazie all’infaticabile opera dell’Ansaldo. Per quell’inutile Linea 6 si continua a distruggere l’opera di Vanvitelli, Gasse ed Alvino.  E mentre la quinta scenografica della riviera di Chiaja continua a manifestare preoccupanti mutazioni, dal lato mare regna l’immobilismo assoluto. I prolungamenti calcarei delle scogliere antistanti alla rotonda Diaz, quelli che dovevano essere rimossi o soffolti subito dopo la conclusione della regata, sono ancora lì in bella mostra.

Certo il Soprintendente Cozzolino aveva dichiarato in più occasioni e pubblicamente che non avrebbe mai concesso il parere favorevole per la regata 2013 se non fossero prima spariti i “baffi” fuorilegge. Fatto sta che la data d’inizio dell’esibizione dei catamarani si approssima ed i massi calcarei sono ancora al loro posto.

La Cassa armonica, il monumento a Diaz e la Villa comunale, orridamente sfigurate, rappresentano i termini di una spirale senza soluzione di continuità nel cui centro sta tutta l’inadeguatezza della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici… E’ risaputo, infatti, che i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. Eppure, nonostante gli sfregi al patrimonio storico-paesaggistico abbiano conquistato le prime pagine dei quotidiani locali e siano tuttora al centro della polemica politica, da Palazzo Reale non giunge neanche un brusio. Quasi che l’inconcepibile rimozione e demolizione dei beni culturali non fosse cosa loro. Un mistero.

A spezzare l’atmosfera cloroformizzata nella quale un progressivo quanto inarrestabile degrado sembra ormai impadronirsi della città ci ha pensato per l’ennesima volta il sindaco de Magistris. Per celebrare degnamente il primo anniversario dell’approvazione degli indirizzi per la riqualificazione della linea di costa prospiciente via Caracciolo, rispettosa delle indicazioni del Prg e dei vincoli esistenti, l’Amministrazione comunale ha stipulato un accordo di collaborazione scientifica con il Dipartimento di progettazione urbana ed urbanistica dell’Università degli studi di Napoli Federico II.

Convinto che i vari Goethe (padre e figlio), Dumas, Madame de Staël, Stendhal, Lamartine, Winckelmann, Flaubert, Twain e tanti altri viaggiatori tra ‘800 e ‘900 non abbiano con le loro opere sufficientemente valorizzato il mare e la città di Napoli, l’immaginifico sindaco ha incaricato il dipartimento universitario, e per esso, il prof. arch. Carmine Piscopo (allora non ancora assessore ai Beni Comuni) di studiare dei progetti di valorizzazione, informati ai criteri di sostenibilità ambientale, urbanistica ed architettonica, con particolare riferimento alla mobilità, alle attrezzature e ai servizi, del litorale compreso tra largo Sermoneta ed il Castel dell’Ovo.

Il palazzo Guevara non era ancora venuto giù, il museo di Città della Scienza svettava sul litorale di Coroglio e la rete stradale non si era tramutata in un sistema craterico. Via Caracciolo era ancora interdetta alla circolazione delle auto e la preoccupazione di de Magistris era quella di trovare una soluzione definitiva che giustificasse in modo inattaccabile la desertificazione del lungomare “liberato”.

Attività legittima e pertinente alla sua autorità. Quel che invece non convince, o meglio indispettisce, è la secretazione dello studio. Un altro mistero. Certo, da quando de Magistris intendeva dare vita ad un governo di democrazia attiva per la Città sembra sia passata un’eternità. Quanti ricordano l’ambizioso progetto “Laboratorio Napoli, il laboratorio per una costituente dei beni comuni”, dove sono le assemblee e le consulte tematiche che dovevano collaborare con gli assessorati.
De Magistris aveva fatto della democrazia partecipativa la sua bandiera. Spenti gli entusiasmi dal confronto con le difficili realtà napoletane, il sindaco tristemente si arrocca, si chiude in sé stesso, dimenticando che la sua città è stata la prima in Italia ad istituire un assessorato dei Beni comuni. La politica partecipata per la tutela e la valorizzazione dei beni collettivi e sociali a garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, alla prova dei fatti, si è dimostrata pura utopia.

L’enigma della segretezza dell’accordo di collaborazione Università/Comune di Napoli diventa maggiormente incomprensibile in considerazione del fatto che il dipartimento della Federico II, ed il prof. Carmine Piscopo ne è autorevole voce, è fortemente impegnato a diffondere il verbo dell’urbanistica partecipata. Non più progetti calati dall’alto come nel passato, ma costruiti con il coinvolgimento degli Enti locali, delle rappresentanze sociali, dei movimenti giovanili, degli imprenditori, di tutti i cittadini portatori a vario titolo d’interessi locali.
Ma forse i principi di tale filosofia per il dipartimento di progettazione urbana non sono dogmatici e non rientrano quindi tra quelli non negoziabili.

Intanto sul litorale che va da Largo Sermoneta a Coroglio continua ad operare da oltre sedici mesi in perfetta silenziosa solitudine la task force costituita dal Municipio per rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la pubblica fruizione delle aree demaniali. Sulla sua attività non si conosce nulla. Non si ha alcuna idea di quali tratti di lungomare siano stati liberati, né la tipologia degli interventi messi in campo, ma che nessuno si permetta di abbandonarsi ad assurde ed infondate illazioni sulla paternità dell’incendio di Città della Scienza…

Il gruppo di urbanisti potrà operare liberamente per dodici mesi, salvo proroghe, ed il lavoro che produrrà non costituirà oneri finanziari per la pubblica amministrazione. I costi dello studio sono, infatti, a totale carico dei ricercatori. Tuttavia se gli elaborati dovessero interessare ed essere utilizzati da “soggetti diversi dal Comune o dallo stesso per acquisire provvidenze da mettere a disposizioni di terzi soggetti”, il Dipartimento di Progettazione Urbana ed Urbanistica provvederà a determinare l’entità delle spese e le relative modalità di pagamento stabilite in funzione delle risorse che saranno rese disponibili. NapoliEst vi ricorda qualcosa? 
Lidio Aramu