Commissione Parlamentare sui rifiuti: Mario Lupacchini

Audizione dell'ex coordinatore dell'area generale ecologia della Regione Campania avvenuta il 13 aprile 2011 sulla vicenda riguardante i depuratori in Campania
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'ex coordinatore dell'area generale ecologia della regione Campania, Mario Lupacchini. L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Campania.
Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitandolo comunque a lasciare per ultima la parte della sua audizione che dovesse essere secretata.


Avverto, inoltre, che, ai sensi dell'articolo 12, comma 3, del Regolamento interno della Commissione, il dottor Lupacchini è assistito dal proprio difensore di fiducia, l'avvocato Salvatore Nugnes, che ringrazio per la sua presenza.
La seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera. Resta fermo, in ogni caso, il dovere per tutti i soggetti auditi, trattandosi di un'audizione davanti a una Commissione parlamentare di inchiesta, di riferire con lealtà e competenza le informazioni a loro conoscenza.

Dottor Lupacchini, la ringrazio molto della sua presenza. Quella citata è una formula di stile, ma ovviamente lei sa che, data la sua posizione processuale, ha la facoltà di ritenere di non sottoporsi all'audizione oppure di non rispondere ad alcune domande.
Valgono le stesse regole, anche se non scritte, per le quali vige l'obbligo di dire la verità, se si intende rispondere, quando ci si riferisce alla posizione di terzi, mentre sulla propria posizione si ha il diritto di non rispondere o comunque non vi è l'obbligo della verità.
Se lei intende rendere quest'audizione, le darei la parola, in modo che possa inquadrarci la sua attività, il suo incarico e la sua funzione.

MARIO LUPACCHINI Io sono stato coordinatore dell'area generale ecologia della regione Campania dal 2002 al 2007.
L'area ambiente è un'area complessa della regione, che comprende nove settori, una cinquantina di sessioni e circa trenta servizi. Abbraccia, tra l'altro, la protezione civile, l'ecologia e l'assetto idrogeologico.
Illustro il suo funzionamento in Campania. Il coordinatore dell'area è scelto tra i nove capi settore ed è normalmente quello che ha la maggiore esperienza. Non ha una funzione di direttore generale. Voglio sottolinearlo, perché la legge n. 11 disciplina in modo preciso quali siano i compiti del capo area e quali quelli del capo settore, dei dirigenti del settore e del direttore del settore, che assume la responsabilità del settore stesso. Nel caso specifico del depuratore, trattandosi del ciclo integrato delle acque, esisteva un direttore.
Il compito specifico del coordinatore era quello di controllare che i capi settore si attenessero ai programmi della Giunta regionale, quindi agli orientamenti politici dell'assessore, e interveniva nell'ipotesi che l'assessore lo richiedesse o all'interno di un discorso multisettoriale, per dare un suo apporto. Nel mio caso, essendo avvocato, si trattava di un apporto di ordine legale. Questa è l'organizzazione regionale.
Per quanto mi riguarda, io ho lasciato quest'area il 31 dicembre del 2007 e ne spiegherò poi i motivi. In realtà, sono stato trasferito e non ho lasciato, proprio per via della questione dei depuratori, ma ci arriveremo gradualmente.
Dal 10 gennaio del 2008 non ho più avuto alcun contatto con l'assessorato. Sono anche andato in pensione dalla regione Campania a giugno del 2010. Sono, quindi, un pensionato e non ricopro attualmente incarichi pubblici di alcun genere.

Per quanto riguarda specificamente i depuratori, non essendo un tecnico, non mi sono mai interessato ai fatti tecnici, perché non rientravano nelle mie competenze.
Ho affrontato per la prima volta la questione dei depuratori nel giugno del 2006. Fui chiamato dall'assessore all'ambiente Nocera. Nella stanza dell'assessore era presente anche l'ingegner Schiavone, direttore del settore del ciclo integrato delle acque. Mi fu chiesto se, secondo il mio punto di vista, ci fossero motivi ostativi di ordine giuridico a far trattare il percolato nei depuratori pubblici regionali.
La mia risposta fu chiarissima. Dal punto di vista giuridico non ve n'erano, tanto che già dal 1999 si trattava percolato nei depuratori. Esistevano delibere e ordinanze. Il problema, invece, era tecnico. Puntualizzai in quella seduta che occorreva verificare se una quantità non minimale, come quella dei bottini che già arrivavano, ma molto più massiccia potesse essere sopportata dai depuratori. Opposi, quindi, tale problema tecnico.
La riunione finì e dopo alcuni giorni fui invitato ufficialmente ad assistere a un'altra riunione con i commissariati, i gestori degli impianti, l'assessore e il capo settore Schiavone.
In questa riunione mi fu posta di nuovo la domanda di ordine giuridico. Risposi che i depuratori erano pubblici, della regione, e che, come tali, potevano tranquillamente accettare il percolato, ma - la mia dichiarazione è a verbale - a condizione che venissero svolti precisi controlli in entrata e in uscita, senza i quali, per quanto mi riguardava, non si poteva procedere.
Mi arrivò sulla scrivania - la registrazione, non l'adozione, dei decreti passava per il capo area - un decreto emanato e firmato dal capo settore. Lo guardai e sinceramente recepii ciò che intendevo: erano previsti pretrattamenti, controlli in entrata e in uscita, in sostanza un discorso molto selettivo.
Inoltre, volevo che il decreto fosse autorizzativo e non coercitivo. Difatti, era autorizzativo e, quindi, i gestori potevano rifiutarsi di accettarlo, nel momento in cui il percolato avesse avuto caratteristiche non compatibili con il loro impianto. Sotto questo profilo, in tutta onestà, il decreto, a mio avviso, era adeguato.
Dopo quel decreto personalmente non ho avuto più alcuna notizia o contatto, perché erano fatti tecnici e l'interlocutore non ero io.
Ho avuto di nuovo a che vedere con i depuratori nell'anno successivo, in primo luogo per una questione del giugno o del luglio 2007 che riguardava l'autorizzazione provinciale e in secondo luogo poi per la questione Hydrogest.

Per quanto riguarda l'autorizzazione provinciale, che riguardava un aspetto più amministrativo che sostanziale, rimanevo sempre dell'idea che, se il depuratore funzionava bene, il problema non esistesse. La maggior parte dei depuratori aveva autorizzazioni scadute da cinque, sei o sette mesi e la provincia di Napoli - le altre province avevano rinnovato tutto - non voleva accettare, ritengo anche a giusta ragione, applicando i parametri della legge n. 152.
Sotto questo profilo in una riunione è scritto chiaramente il mio pensiero di chiedere indicazioni al ministero, perché avevo l'impressione che qualcosa non quadrasse.
La questione Hydrogest è più complessa perché già dai primi mesi, nel gennaio o nel febbraio del 2007, gli operai iniziarono a venire in assessorato. Lamentavano di non essere pagati e si sapeva che non si svolgeva la manutenzione. La preoccupazione, quindi, esisteva già. Poiché la materia non era gestita da me, ne parlavo con l'assessore, ma non avevamo nulla in mano di veramente concreto.

Ottenemmo un elemento concreto, nel settembre del 2007, sotto forma di una lettera del dirigente del settore del ciclo integrato delle acque, l'ingegner Schiavone, il quale parlava di inquinamento delle falde acquifere e illustrava in termini disastrosi la questione.
Tale lettera fu mandata all'assessore e a me. A questo punto, essendo destinatari di una lettera veramente preoccupante, riferii all'assessore che bisognava trovare una soluzione. L'assessore mi diede l'incarico di occuparmene.
Telefonai al professor D'Antonio, subcommissario al depuratore e concedente della concessione in project financing. Voglio chiarire che l'Hydrogest aveva preso in gestione cinque dei sette depuratori, quelli più importanti, attraverso una gara in project financing. Esisteva un concedente, il commissario, e un concessionario, l'Hydrogest, ossia Termomeccanica.
Nel caso di project financing gli interlocutori sono solo concedente e concessionario e non c'è spazio per altri. Avevamo difficoltà addirittura a mandare qualcuno a verificare la situazione. Il commissariato, come concedente, aveva obblighi precisi, scritti nella convenzione tra concedente e concessionario.
Gli articoli 12 e 13 della concessione disponevano chiaramente che si sarebbero dovuti svolgere controlli, comunicazioni mensili e alcune altre vigilanze e adempimenti. Ciò spettava al commissariato nella qualità di concedente della concessione.

Parlai con il sub commissario. Dopo la lettera di Schiavone, lo chiamai e chiesi di capire che cosa stesse succedendo. Dalle telefonate mi si rizzarono i capelli in testa. Forse esagerava, ma, a quel punto, gli chiesi di svolgere un'inchiesta. Domandai che tre professori universitari di alto livello svolgessero un'inchiesta per vedere che cosa stesse succedendo. Se fosse emerso un problema di inquinamento, essendo capo settore ambiente, pur relativamente interessato, sarei finito nei guai.
L'assessore fu d'accordo, così come lo stesso D'Antonio. Mi fu preparato il decreto dal settore CIA e posto sulla mia scrivania. Non figuravano i tre nominativi e si concedevano sei mesi di tempo per svolgere l'indagine. Io mi opposi e pretesi di avere la risposta in un mese.
Modificai il decreto, in questa parte soltanto, e lo firmai, insieme al capo settore, assumendomi anche la responsabilità dell'inchiesta. L'assessore introdusse i tre nomi, su cui non ebbi nulla da eccepire, essendo tre grossi professionisti.

Il problema emerse, quando, dopo un mese e mezzo, arrivò la relazione. Pur non essendo un tecnico, mi spaventai. Sono atti ufficiali. Chiamai il rappresentante dell'Hydrogest e l'ingegner Schiavone. L'ingegner De Bari dell'Hydrogest sostenne che era tutto a posto, mentre gli altri affermavano il contrario. Un fatto era certo, comunque: non era stato compiuto alcun investimento.
Il project financing era stato attuato per effettuare gli adeguamenti agli impianti secondo la nuova normativa e i nuovi parametri, altrimenti non si sarebbe tenuta una gara di così alto tenore finanziario. Mi resi conto che per un anno non era stato fatto assolutamente nulla. Questo era un dato certo, al di là del funzionamento ordinario efficace oppure no.
Tenni un paio di riunioni e mi resi conto che per me era un discorso morto. Non si muoveva nulla e, quindi, minacciai di inviare le carte alla Procura della Repubblica, se non fosse stato elaborato un piano di intervento immediato. Avrei denunciato tutti.

PRESIDENTE. Chi minacciò?

MARIO LUPACCHINI Minacciai De Bari dell'Hydrogest. Non ebbi praticamente alcuna risposta.
Il giorno 20 dicembre del 2007 mandai gli atti con una relazione alla Procura della Repubblica di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere. Malgrado i miei 47 anni di esperienza di lavoro, pensavo ancora ingenuamente che succedesse qualcosa. Invece so che non successe mai nulla. Inviai gli atti alla Procura e ne parlai con l'assessore, che mi scaricò il problema. Malgrado ciò, continuai comunque a tenere le riunioni.
Il 27 dicembre tenni una riunione che finì malamente tra l'ingegner Schiavone e De Bari, con un discorso difficilissimo e complesso. Io affermai che per me era in atto una violazione dei patti contrattuali e feci presente al commissariato che avrebbe dovuto rivolgersi all'Avvocatura di Stato. Poiché io comunque guardavo la parte finanziaria in generale, sostenni che non esistevano gli estremi per erogare i soldi. All'inizio di gennaio avrei svolto una riunione e volevo risposte in modo molto imperativo.
Il 30 dicembre ricevetti una telefonata, con la comunicazione che ero stato trasferito da capo area a capo ufficio altrove. Finisce a quel punto la mia avventura all'assessorato all'ambiente.

DANIELA MAZZUCONI. Potremmo avere un chiarimento? Che cos'è un coordinatore dell'area generale e che tipo di poteri ha rispetto a un direttore generale?

MARIO LUPACCHINI. Lo trova in modo specifico all'articolo 12 della legge n. 11 del 1991. Il coordinatore dell'area generale coordina, ma non è direttore generale.
Voglio anche spiegare che solo la Campania prevede questo tipo di figura. Non mi chiedete perché, perché parlerei male dei politici. È una battuta.

DANIELA MAZZUCONI. Quali sono i poteri? Tutte le regioni hanno il direttore generale, che ha determinati poteri. Vorrei capire se il coordinatore dell'area generale ecologia...

MARIO LUPACCHINI
Le leggo l'articolo 12: «Il coordinatore predispone i piani di lavoro dell'area generale articolata per settori, servizi e sezioni, in conformità ai programmi della Giunta regionale, alle leggi inerenti la competenza dell'area e alle attribuzioni istituzionali dell'area stessa. Verifica, altresì, lo stato di attuazione dei programmi di lavoro e adotta le opportune disposizioni. Per la funzione di organizzazione effettua il migliore impiego del personale assegnato. Tiene in conto anche l'organizzazione sindacale».
In effetti, non ha alcuna competenza nei settori. Il capo settore è il vero direttore di ogni settore e ciò è disciplinato in modo chiaro dall'articolo 5 e dalla legge n. 24 del 29 dicembre del 2005, che recita: «...mediante autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo». Questa è la competenza del capo settore, che non deve dar conto al capo area. Quest'ultimo coordina soltanto. Difatti, non si chiama capo area, ma coordinatore di area. La Campania è l'unica regione che adotta questa posizione.

PRESIDENTE. Scusi, forse è un mio difetto di diritto amministrativo, ma non ho capito i poteri. Se lei coordina, ma non ha poteri di dare disposizioni, come fa a coordinare?

MARIO LUPACCHINI
Le porto un esempio banale: se nel ciclo integrato delle acque il coordinatore deve dare disposizioni, il capo settore si può opporre, perché è lui che firma i decreti e, quindi, fa ciò che ritiene opportuno.

PRESIDENTE. Li firma anche lei.

MARIO LUPACCHINI.
No.

PRESIDENTE. Noi abbiamo un decreto firmato da lei, o meglio abbiamo un decreto dove lei...

MARIO LUPACCHINI
Lasci stare la pandetta davanti. Deve vedere la firma effettiva del decreto.

PRESIDENTE. La firma è dell'ingegner Schiavone, però la paternità del decreto non è solo di chi lo firma, ma anche di chi vi appare. Non si capisce perché ci sia anche il suo nome, se poi lei non ha alcuna influenza sul contenuto.

MARIO LUPACCHINI Poiché i decreti sono informatizzati, può firmare solo il capo area, il capo settore e ora anche il capo servizi, ma hanno uno standard che indica chi sono tali soggetti. Si tratta di una pandetta, ma chi firma il decreto è colui che lo redige e che se ne assume la responsabilità. Esiste un obbligo di scrivere nel decreto l'espressione «visti i controlli effettuati dal capo settore».

ALESSANDRO BRATTI.
La vostra procedura mi sembra un po' curiosa.

MARIO LUPACCHINI È atipica.

ALESSANDRO BRATTI.
Non esiste neanche un visto del coordinatore sull'attività del capo settore?

MARIO LUPACCHINI No. Il coordinatore dell'area può solo vedere se la procedura è stata osservata e la pone in registrazione attribuendole il numero, però non entra nel merito.

ALESSANDRO BRATTI. Non c'è una sua firma di «visto l'atto»?

MARIO LUPACCHINI No.

ALESSANDRO BRATTI. Che tipo di rapporto avevate in quel periodo con il commissariato e quali erano i punti di riferimento del commissariato? Avete mai avuto rapporti diretti anche con funzionari del ministero? Lei riferisce di avere solo conoscenze di carattere giuridico. L'unico suo tecnico di riferimento era Schiavone?
Il decreto dirigenziale firmato da Schiavone è stato inviato alla procura, alla provincia e a tutti gli organi di controllo. In questo provvedimento l'ingegner Schiavone parla correttamente di «pretrattamento», sostiene che il percolato per poter essere smaltito dai depuratori debba essere preventivamente trattato. Noi sappiamo che di fatto quasi nessuno degli impianti di pretrattamento funzionava. Lo si vede dai dati e dal parametro COD.
È possibile che non ci sia mai stata una comunicazione dell'ente di controllo che abbia riferito che avevate sorpassato il limite e che era in corso una situazione di pericolosità? Avviene tutto in una volta o c'è stata una progressiva segnalazione sulla possibilità di determinare uno stato di inquinamento molto pericoloso?

MARIO LUPACCHINI. Credo che uno degli equivoci che ha riguardato la mia posizione in negativo da parte del pubblico ministero sia quello sui decreti, che sono decreti dirigenziali emanati dal dirigente del settore e non dal coordinatore e senza alcun visto da parte di quest'ultimo.
Debbo anche aggiungere che lo stesso ingegner Schiavone - non voglio scaricare le responsabilità - se n'è assunto chiaramente la paternità. Per quanto mi riguarda, però, nella riunione precedente ero presente. Nel verbale è scritto chiaramente che io pongo alcune condizioni di analisi in entrata e in uscita.
Lei mi chiede chi fossero gli interlocutori. Noi abbiamo due commissariati, uno ai rifiuti che con me non ha avuto alcun rapporto. Ho letto l'audizione del dottor Catenacci. Parla di riunione in presidenza, ma non ci sono mai stato. Non ho mai partecipato a riunioni in presidenza su questa storia. Non sono mai stato invitato.
Poi esiste il commissariato alle bonifiche e al ciclo integrato delle acque. Ho avuto rapporti con esso nella questione Hydrogest.
Ho avuto anche rapporti precedenti con il commissariato e con il dottor Mascazzini del ministero, per quanto riguarda i finanziamenti. Io ero responsabile dell'Asse 1. Ambiente dei fondi comunitari e, quindi, curavo la parte finanziaria personalmente. Era un tema delicato su cui rispondevo a Bruxelles.

Con Mascazzini, che stimo per capacità e intelligenza, trovammo diverse soluzioni per intervenire finanziariamente, attingendo fondi dai famosi progetti coerenti.
Ho avuto contatti, quindi, sul piano delle risorse finanziarie, mentre sul piano tecnico ho avuto contatti con il subcommissario, il professor D'Antonio, quando scoppiò il problema Hydrogest. Parliamo di luglio.
Nel momento in cui l'ingegner Schiavone inviò quella lettera, non ricordo se a settembre o ad agosto, sostenne che gli impianti Hydrogest erano malridotti, che non c'era manutenzione e che emergevano pericoli di inquinamento. A quel punto è si tentato di capire che cosa stesse succedendo e perché. La relazione dei tre esperti confermò le parole di Schiavone, parlando anche di bypass, da cui la mia denuncia alla Procura della Repubblica.
Si chiuse in quei quattro mesi il ciclo della questione.

Il decreto di nomina della Commissione è stato firmato anche da me. Ho firmato come capo area perché, a quel punto, esisteva la responsabilità. Erano state tenute alcune riunioni e, quindi, mi assunsi la responsabilità di nominare la Commissione di tre esperti.
Poiché la Hydrogest negava e con riferimento a Cuma sosteneva che l'impianto funzionasse, io chiamai due dei tre esperti, che erano stati sovrintendenti a Cuma, e chiesi loro di avere un parallelo tra la gestione prima dell'avvento Hydrogest e dopo. Loro stesero una relazione integrativa con alcuni parametri, che dimostrava che si era verificato un degrado nell'impianto dovuto alla mancanza di manutenzione.

DANIELA MAZZUCONI. In un'altra sede, e segnatamente nella Commissione 13a del Senato, sono state tenute in ordine all'approvazione dei decreti sui rifiuti in Campania alcune audizioni di rappresentanti dei consorzi di collettamento e degli impianti di depurazione. In quella sede è emerso che la Campania si trova, dal punto di vista sia del collettamento, sia della depurazione, in condizioni disperate, in concomitanza di questo fatto, ma forse anche in precedenza.
Ciononostante, viene concessa con uno dei primi decreti con cui questa legislatura ha affrontato il problema dell'emergenza rifiuti a Napoli, una deroga ai limiti di scarico negli impianti rispetto alle tabelle europee e a quelle in uso nel resto d'Italia.
Questo è già un caso assolutamente singolare, perché, se nelle altre regioni si scarica fuori tabella, il problema è di natura penale e, quindi, concedere a una regione limiti diversi rappresenta un unicum.
Viene comunque stabilita una deroga; ciò significa che in Campania si è andati, per gli scarichi di percolato, addirittura oltre la deroga e non oltre i limiti tabellari normali?
Per quanto riguarda la questione dei percolati, una delle obiezioni più comuni dal punto di vista tecnico è che non esiste alcun impianto di depurazione, neanche nelle regioni in cui gli impianti funzionano meglio, che possa trattare direttamente il percolato.
Occorre svolgere pretrattamenti, perché nell'impianto di depurazione esso va introdotto rispetto ai limiti previsti nelle tabelle di legge.
Chi gestiva gli impianti di pretrattamento e chi assicurava che da tali impianti uscisse un percolato lavorato nei limiti di tabella, quelli previsti per la regione Campania e non per la Lombardia o per il Veneto? C'era qualcuno che controllava e il gestore era il medesimo, sia per gli impianti di trattamento finale, quindi di depurazione, sia per l'impianto di pretrattamento?

MARIO LUPACCHINI Ovviamente non sono un tecnico, ma cerco di fornire alcune risposte. Alcuni dei depuratori, per quanto so io, avevano l'impianto di pretrattamento all'interno. Tale impianto dovrebbe essere costituito a monte della discarica. Questa è la regola, però sappiamo che in Campania ciò non avviene.

PRESIDENTE. Scusi, ma non ho capito. In che senso deve essere costituito di regola a monte, ma in Campania ciò non avviene? Il pretrattamento deve essere necessariamente a monte e non a valle.

MARIO LUPACCHINI
L'impianto di pretrattamento può trovarsi nell'impianto di depurazione, quindi a monte, prima dell'ingresso nei depuratori oppure, come nella maggior parte delle discariche in Italia, il pretrattamento avviene direttamente sul posto. Questa soluzione sarebbe quella ideale. Sappiamo come sono andate le cose in Campania ed è inutile disquisire ora se il sistema abbia funzionato o no.
Resta il fatto che nel decreto n. 690 si disponeva che bisognasse effettuare comunque il pretrattamento, che all'ingresso i percolati dovessero avere determinate caratteristiche e che all'uscita non dovessero essere liquidi inquinanti. Si ponevano precisi obblighi.
Se non si può effettuare il pretrattamento, non si deve portare il percolato in discarica, oppure il gestore non deve accettarlo o il controllore non deve consentirlo. Lo affermo da persona che non svolgeva il controllo, però la regola è questa ed è scritta nel decreto.

DANIELA MAZZUCONI. Visto la gestione era commissariale, chi era deputato al controllo, la provincia o il commissario?

MARIO LUPACCHINI. Sicuramente per lo scarico a mare la competenza è della provincia. Per quanto riguarda, invece, il controllo all'interno dei depuratori, ci sono due fasi, una pre-Hydrogest e una con gestione Hydrogest.
Nella fase pre-Hydrogest il settore aveva un dipendente, un ingegnere, che stava sul posto e doveva controllare il tutto all'interno dei depuratori. C'erano staff tecnici che avevano questo compito. Nel periodo Hydrogest, invece, il compito passò al commissariato, in quanto concedente della concessione.

DANIELA MAZZUCONI.
Dal punto di vista formale, quindi, il responsabile era il commissario, in quel caso.

MARIO LUPACCHINI Da un punto di vista formale per i depuratori il commissario lo era dopo l'avvento dell'Hydrogest e non prima.

ALESSANDRO BRATTI. In ogni caso, mi permetto di osservare che, nel momento in cui il decreto viene mandato alla Procura della Repubblica, alla provincia e all'ARPAC, visto che ognuno di tali organismi ha competenze in termini di controlli, qualcuno potrebbe effettivamente controllare.
L'ARPAC ha le competenze. Non sono ufficiali di Polizia giudiziaria ma sono pubblici ufficiale che devono trasmettere all'organo amministrativo il risultato delle loro verifiche.

MARIO LUPACCHINI Distinguerei due tipi di controllo, uno di analisi, in cui l'ARPAC è chiaramente delegata, oltre al laboratorio interno del gestore, e uno di controllo del funzionamento, per il quale erano delegati tecnici interni della regione Campania del ciclo integrato delle acque. Si tratta del controllo di funzionamento dell'impianto come fatto complessivo.

ALESSANDRO BRATTI. Ciò che conta, alla fine, sono le analisi. Sempre nel decreto, in premessa - è un atto che è stato anche licenziato dalla Giunta, essendo su carta intestata della Giunta regionale - si parla di riunioni in cui avreste dovuto essere presenti tutti. Lei ha sostenuto di non esserci stato, però è scritto che era presente.

MARIO LUPACCHINI. Ho partecipato a una sola riunione.

ALESSANDRO BRATTI. Si parla genericamente di riunioni. Nel rilevato, che non è un dettaglio, si afferma che dal 1999 sono previsti trattamenti preventivi e presumo che il trattamento preventivo per abbattere i metalli pesanti sia costituito dai pretrattamenti.
In realtà, non è solo una questione di COD. Vengono elencati metalli pesanti e inquinanti piuttosto pericolosi. È evidente che, se non viene compiuto un pretrattamento adeguato, essi vanno a finire direttamente in mare.
Lei sostiene che non ha firmato il decreto, però chi l'ha fatto avrà verificato che gli impianti di pretrattamento ci fossero e funzionassero a dovere. Se è scritto che in detti incontri è stato evidenziato dai rappresentanti del commissariato e da tutti i partecipanti che un'ordinanza ha disposto il trattamento del percolato prodotto dalla discarica, che deve avvenire presso gli impianti pubblici di depurazione, previo preventivo trattamento per l'abbattimento dei materiali pericolosi, ci si è fidati della discussione della riunione o si avevano dati in mano?

MARIO LUPACCHINI. Essendo un fatto prettamente tecnico, io lo do per buono. Non posso entrare nel merito. Non lo capisco, né ho la competenza istituzionale per occuparmene.

GIANPIERO DE TONI. Volevo capire un punto, perché probabilmente in esso risiede il problema. Esiste la responsabilità politica dell'assessore, poi ci sono i responsabili di settore e in mezzo c'è un cuscinetto, che è lei.
Non è chiaro. O l'assessore è responsabile insieme a lei dei fatti che sono accaduti, o lei sta assumendosi un ruolo che evidentemente ritiene di non avere come responsabilità, ma di fatto era a conoscenza di tutto.
La domanda che pongo è questa: dov'è il principio della responsabilità, della trasparenza e della legalità? Quando la Campania si attrezza e ritiene che il suo assessorato eserciti le funzioni che esercita attraverso il ruolo di un coordinatore, è chiaro che pone un principio di responsabilità. Mi pare di capire che formalmente lei sostiene che la responsabilità è del responsabile del settore, ma di fatto, se lei ha svolto correttamente il suo lavoro col principio della trasparenza, della legalità e della responsabilità, non può, secondo il mio modestissimo parere, non sapere ciò che stava accadendo.

MARIO LUPACCHINI. Prima le ho letto quali sono le competenze del capo settore e del capo area e ho specificato che si tratta di un fatto specifico della Campania. Il capo settore ha piena autonomia ed è colui che adotta gli atti. Questo è fuori discussione. La legge recita: «...mediante autonomi poteri di spesa e di organizzazione di risorse umane strumentali e di controllo». Lo esplicita chiaramente.

PRESIDENTE. Mi inserisco e completo la domanda: lei veniva informato o no dal suo subordinato? Noi non siamo interessati a problemi di responsabilità penale, che non ci riguardano, ma a capire che cosa non funziona o può non aver funzionato, perché il nostro compito è poi di suggerire soluzioni al Parlamento o di valutare situazioni che devono essere modificate.
Al di là della forma, lei sapeva o non sapeva ciò che stava accadendo? Avrebbe dovuto saperlo e non gliel'hanno riferito oppure gliel'hanno riferito ma, secondo lei, il fatto non le competeva?

MARIO LUPACCHINI Non ero tenuto a saperlo, perché il capo settore poteva agire autonomamente. Non esiste l'obbligo per lui di riferire al capo area.
Sulla questione specifica sono stato molto chiaro: sapevo perfettamente del decreto n. 690, avevo partecipato a una riunione due giorni prima, avevo condiviso le decisioni a determinate condizioni, che sono scritte nel verbale come mio intervento, sostenendo ciò che si potesse procedere, dopo aver avuto le garanzie tecniche dagli esperti.
Dopo quella riunione io non ho avuto più conoscenza di nulla. Difatti non esistono atti o telefonate. Non ho avuto più sentore di nulla, tranne nell'anno successivo, con il caso Hydrogest, quando arrivò la lettera inviata anche a me. Da quel momento mi attivai per vedere che cosa stesse succedendo e promossi l'inchiesta. Cercai di portarla avanti, inviai gli atti alla Procura e poi me ne andai.

GENNARO CORONELLA. Nel 2000 il Presidente della regione Campania diventa Commissario straordinario per l'emergenza rifiuti, per le bonifiche, per la depurazione e per la tutela delle acque. Sono due distinti commissariati, uniti nella stessa persona.
Nel 2004 il Presidente della regione Campania si dimette da Commissario per l'emergenza rifiuti, ma mantiene la carica di Commissario per le bonifiche, per la depurazione e per la tutela delle acque. È vero?

MARIO LUPACCHINI Sì.

GENNARO CORONELLA. La depurazione viene affidata a Hydrogest in virtù di una gara d'appalto. Non voglio chiedere a lei notizie sulle peripezie di tale gara, perché farei perdere tempo a lei e ai colleghi.
L'affidamento di questo servizio è regolato da una convenzione. Lei ne è estraneo, perché non è né commissario, né Hydrogest. Chi doveva controllare, chi doveva esercitare il controllo?

MARIO LUPACCHINI. La gara è avvenuta in project financing, il quale prevede una concessione, un concedente, il commissario, e un concessionario, l'Hydrogest ed è disciplinata da una convenzione. Gli articoli 13 e 26 della convenzione dispongono che «il concedente - quindi il commissariato - assume la responsabilità della vigilanza e dei controlli sugli impianti e di trasmettere periodicamente i dati di rilevamento al Comitato di vigilanza e all'Osservatorio dei servizi idrici, nonché lo stato generale di ogni singolo impianto».
Esiste una competenza specifica del concessionario, ma entriamo in un discorso molto più complesso. È chiaro che l'Hydrogest, non spendendo nulla per gli adeguamenti degli impianti - la gara era stata bandita per gli adeguamenti degli impianti alla nuova normativa e, quindi, ai nuovi parametri - aveva creato il problema. Quale tipo di sbocco aveva? Un aumento della capacità finanziaria. Ciò è fuori discussione. Io su questa linea non ero presente. Non debbo aggiungere altro.

PRESIDENTE
. Per esempio l'esistenza di un'istruttoria, che era la base per prendere determinate decisioni, di chi era a conoscenza? Credo che l'istruttoria sia il presupposto per prendere alcune decisioni. Esisteva l'istruttoria?

MARIO LUPACCHINI
. Per come è costituito il decreto, non è possibile che non esistesse.

PRESIDENTE. Chi avrebbe dovuto svolgerla?

MARIO LUPACCHINI
. Non so chi l'ha svolta, ma credo l'abbiano fatto di concerto il commissariato e il settore del ciclo integrato delle acque, cioè i tecnici.

PRESIDENTE. I tecnici non prendono decisioni, che sono, invece, amministrative. Il tecnico effettua una verifica. Vorremmo capire che cosa non ha funzionato. Per due anni è stato scaricato in mare il percolato e nessuno ha controllato. O il sistema è tale che si può scaricare in mare il percolato, o evidentemente qualcuno non ha dato corso ai propri obblighi amministrativi. È questo che vorremmo capire.
Mi pare che l'istruttoria non sia stata trovata, perché i magistrati danno atto che non c'è. Le analisi non sono state svolte. Il pretrattamento non è stato fatto. Sembra, però, che nessuno abbia mancato al proprio dovere prima che il percolato arrivasse in mare. Vorremmo capire, secondo lei, che cosa non ha funzionato.

MARIO LUPACCHINI Per quanto mi riguarda, innanzitutto, sulla mia scrivania non è arrivato nulla.

PRESIDENTE. Nel marzo del 2007 non le arrivò una segnalazione che era in atto una situazione già di sversamento e di inquinamento da parte dell'ARPAC?

MARIO LUPACCHINI A me no.

PRESIDENTE. Arrivò a lei, secondo quanto ci risulta. Le note dell'ARPAC del 26 marzo e del 14 maggio del 2007 vennero inviate al dottor Lupacchini, o così si riferisce. Forse non le ha lette o non le ha viste. Così è scritto, altrimenti scrivono il falso i magistrati.

MARIO LUPACCHINI. A me le note ARPAC non arrivavano, perché erano dati tecnici che non avrei saputo nemmeno leggere. Arrivavano al capo settore.

PRESIDENTE. Il quale, però, era molto riservato e teneva tutto per sé.

MARIO LUPACCHINI
Non c'era motivo che riferisse a me. Che cosa avrei potuto fare?

PRESIDENTE. Vogliamo capire chi se ne doveva occupare.

SALVATORE PISCITELLI. Da parte del concedente, quali erano gli obblighi di controllo? Doveva controllare che le analisi venissero svolte? Il commissario, che era il concedente, come si era strutturato sotto il profilo del controllo?

MARIO LUPACCHINI.
Il presidente ha svolto un discorso di periodo ampio e poi ha fatto riferimento al 2007, epoca Hydrogest. Tale epoca è gestita dalla convenzione. Al di là delle carte, che potevano arrivare al capo settore o a chiunque altro, la convenzione dispone in modo chiaro che il concedente verifica e svolge i controlli.
Se poi il commissariato si facesse assistere o meno, da chi e come, non lo so e non so riferirvelo. Il concedente non mi chiedeva nulla, né io chiedevo a lui. Come regione Campania eravamo fuori dal discorso Hydrogest.

DANIELA MAZZUCONI.
Il concedente in linea di massima ha sempre l'obbligo di controllo, perché evidentemente il terzo compie un servizio per il concedente. In questo caso ciò assorbiva l'obbligo di controllo di tutti gli altri enti e soggetti preposti ciascuno per la loro parte?

MARIO LUPACCHINI Teoricamente sì, perché, nel momento in cui è in atto una concessione, ci sono due interlocutori, il concedente e il concessionario. Sul piano teorico altri non possono nemmeno entrare negli impianti. Ovviamente lo sbocco a mare è controllato dalla provincia e dall'ARPAC, ma non all'interno dell'impianto. Tali due enti hanno competenze specifiche e i laboratori per le analisi.

ALESSANDRO BRATTI. Dal 1999 era previsto che dovessero esistere gli impianti di pretrattamento per il percolato. Risulta, però, che essi non siano mai stati realizzati, se non in maniera parziale. Anche se non si è un tecnico, quando ci si trova di fronte ad una tabella in cui il limite è di 3.000 e il valore rilevato è di 80.000, è come leggere l'analisi del sangue. Si capisce che qualcosa non funziona.
È possibile che in tutti questi anni, a sua conoscenza, non ci fosse all'interno della struttura in generale la conoscenza che questi impianti non funzionavano? Abbiamo sentito il dottor Mascazzini affermare che rispetto a mandare il percolato con i camion in un posto imprecisato alla fine si è scelto molto probabilmente il male minore.

Abbiamo emanato anche alcuni decreti, gli ultimi, per cercare di sistemare la situazione. Chi capisce un po', vede il disegno. Adesso è quasi legale agire in questo modo e allora non lo era, ma purtroppo sul posto ci sono state conseguenze. È possibile che non ci fossero segnalazioni di alcun tipo e che nessuno sapesse?

MARIO LUPACCHINI. Sicuramente il settore tecnico ne era a conoscenza. Ne sono convinto, anche perché ho letto le carte processuali. Solo a giugno o a luglio il settore ha preso una posizione, però parliamo di mesi, perché l'inizio della gestione di Hydrogest era avvenuto a gennaio. Parliamo di mesi e non di anni. Precedentemente, nel 2006, non si sono verificati fenomeni, anche perché i conferimenti erano minimi.
Si aggiunge anche un altro discorso. Sui depuratori si svolgevano interventi di manutenzione spendendo milioni e, quindi, si faceva in modo che i depuratori funzionassero. Fino a dicembre del 2006 venivano effettuati interventi molto consistenti per farli funzionare. È chiaro che parliamo di depuratori realizzati negli anni Settanta, con la Cassa del Mezzogiorno. Il motivo di bandire la gara in project financing era che tali depuratori non erano adatti a far rispettare la nuova normativa.
D'altra parte, la stessa legge n. 152 disponeva che tutti i depuratori, non in Campania ma in tutta Italia, avevano tre anni per adeguarsi. La Campania invece di tre anni ne ha impiegati sette, ma è un discorso del commissariato e non riguarda la gestione ordinaria.

GIANPIERO DE TONI. Di quanto era l'importo in project financing, che poi non è stato effettuato?

MARIO LUPACCHINI
Il project financing, almeno per quanto ho potuto leggere io in quel secondo semestre del 2007 - non avevamo bandito noi la gara e non ne sapevamo nulla - prevedeva che le tariffe di conferimento dei reflui da parte dei comuni andassero all'Hydrogest, ossia al concessionario, sulla base di una convenzione che il concessionario avrebbe dovuto stipulare con il singolo comune, da Napoli a tutti quelli della provincia di Napoli.
Per quanto io ebbi modo di sapere queste convenzioni non erano state stipulate. In un dato senso le grosse difficoltà economiche dell'Hydrogest dipendevano anche da questo.
L'assessore sostenne che avremmo dovuto trovare una soluzione. Aveva ragione: gli operai non erano pagati, non avevano le tariffe. Il nostro intervento era minimo rispetto all'investimento, però comunque serviva per dare un po' di respiro. Anticipammo, quindi, nel mese di ottobre o di novembre, come regione Campania, una parte di tariffe - 3-4 milioni di euro, se ricordo bene -, ma già dal 10 gennaio si sarebbe dovuto pensare a queste convenzioni.
Non conosco il motivo per cui non furono stipulate da parte del commissariato. Non so se si sia trattato di contrasti con i comuni e delle solite questioni burocratiche.
Per quanto riguarda il conferimento la Commissione portava fatti un po' particolari. Per esempio, nell'ipotesi che non ci fosse l'equilibrio finanziario, il project financing prevede come fatto di normativa generale che si potesse pervenire al riequilibrio finanziario. È difficile parlare di riequilibrio quando non c'è investimento, però, ed è questo il motivo per cui, quando mi fu proposto, risposi negativamente.
So che c'è stato un conferimento nel 2008, ma non conosco il motivo e non mi interessa, perché non ero presente.

PRESIDENTE. Non aveste mai segnalazioni da parte della popolazione che andava a fare il bagno in quella zona sul fatto che il mare era ancora peggiore che da altre parti? Nessuno vi segnalò questa notizia a livello politico, all'assessore, sui giornali?
Sono passati due anni; non è stata, purtroppo, una discarica improvvisa. Era uno stato abituale. Lei, che sicuramente era attento per il ruolo che ricopriva a quello che stava accadendo, non avvertì alcun segnale che qualcosa non andava?
Non sono un tecnico quanto l'onorevole Bratti, però ho l'impressione che fosse una forma di discarica del percolato piuttosto a rischio, nel senso che l'impianto avrebbe dovuto possedere caratteristiche di particolare capacità di eliminare gli aspetti tossici. Su quel punto avrebbe dovuto esserci un'attenzione particolarmente presente. Non si seppe nulla per due anni di ciò che stava accadendo?

MARIO LUPACCHINI In effetti, il percolato che poteva entrare nei depuratori era rifiuto speciale non pericoloso. Solo quello poteva entrarvi. Quello con forte densità non avrebbe dovuto esservi portato.

PRESIDENTE.
Si parla di «trattamento per l'abbattimento di metalli pesanti e delle sostanze tossiche persistenti e biocumulabili sottoelencati». Non sarà pericoloso, ma un materiale tossico per me non è buono da mettere nel mare.

MARIO LUPACCHINI
. Il percolato accettato è quello del codice CER 190700 speciale.

PRESIDENTE. Secondo lei, le sostanze tossiche non sono un problema?

MARIO LUPACCHINI. Sicuramente lo sono, ma volevo precisare che quello in oggetto era rifiuto non pericoloso. Pensate che quello del materiale eventualmente finito in mare sia un discorso solo di percolato? Se il depuratore non funziona, non funziona affatto. Non è soltanto il percolato, il discorso è di fondo. Diciamoci la verità. Il percolato diventa una questione minimale.
Rispondendo al presidente, effettivamente i giornali, specialmente nell'estate del 2007, iniziarono a pubblicare notizie. Parliamo però, per quanto ricordo, del luglio e dell'agosto del 2007. Il problema, però, è molto più vasto.

PRESIDENTE
. Cercheremo di affrontarlo. La ringraziamo molto. Cercheremo di acquisire anche altra documentazione, perché questo sarà uno dei settori importanti della relazione sulla Campania. L'inquinamento del mare, a mio avviso, è anche peggiore dell'inquinamento della terra, perché il mare si muove, mentre la terra rimane ferma. Noi consideriamo l'inquinamento del mare uno degli aspetti più gravi per la salute collettiva.

MARIO LUPACCHINI.
Svolgo una precisazione, sollecitatami dall'avvocato. L'indagine ARPAC, come emerge dagli atti processuali attuali, sostiene che il mare non è inquinato.

PRESIDENTE
. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

 

 

ARCHIVIO - La vicenda dei rifiuti non trattati sversati in mare - 28 gennaio 2011